Pesca e standard comuni: i nodi dopo la Brexit
Il 2020 del Regno Unito si apre e si chiude con la Brexit: dal divorzio del 31 gennaio alla fine del periodo di transizione del 31 dicembre, quando ognuno se ne andrà per la sua strada. In mezzo, undici mesi, o 335 giorni, che determineranno le future relazioni tra Londra e l’Unione europea per gli anni a venire. Nonostante la retorica del primo ministro Boris Johnson (“Get Brexit done”, lo slogan ripetuto ad nauseam, ma con grande efficacia, durante l’ultima campagna elettorale), molto resta da decidere in quest’anno. E la battaglia per le future relazioni si combatterà anche nei mari, quasi fossimo ai tempi dell’Impero britannico: quello dei diritti per la pesca sarà uno dei temi dominanti dei negoziati. L’altro verterà su regole e standard comuni: Bruxelles vuole evitare che il Regno Unito diventi una sorta di ‘Singapore sul Tamigi‘ alle porte di casa.
I negoziati si apriranno formalmente a marzo, lasciando appena una decina di mesi ai due team. Visti i tempi strettissimi, come sottolineato anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, le parti cercheranno probabilmente un accordo di base. Ma i merluzzi potrebbero mettersi di traverso.
Londra vuole riprendersi il controllo delle acque, e non intende fare sconti. Sebbene l’industria ittica sia in declino da anni e contribuisca pochissimo al Pil del Regno (qualcosa come lo 0.1%) è un tema simbolico molto sentito. Le comunità di pescatori delle zone costiere ritengono che la Politica comune della pesca, con il suo sistema di quote di pescato e la possibilità degli Stati membri di sfruttare le ricche acque britanniche, li abbia portati alla rovina. Durante la campagna referendaria del 2016, la loro causa è stata caldeggiata dai Brexiteer: in uno dei momenti più bizzarri di tutta la campagna, Nigel Farage si è messo a capo di una flottiglia di pescherecci nel Tamigi al grido di “riprendiamoci il controllo delle nostre acque”.
Johnson per ora tiene il punto: una nuova legge pubblicata questa settimana garantisce che al 31 dicembre i pescherecci europei perdano il diritto di accesso automatico alle acque britanniche. Bruxelles intende invece mantenere la possibilità di sfruttamento delle acque britanniche, soprattutto per Paesi come la Francia, la Danimarca e l’Olanda. Per questo, ha esplicitamente legato questo tema a quello, cruciale per Londra, dei servizi finanziari (che contribuiscono circa il 7% al Pil del Paese) e dell’accesso al mercato unico (la metà della produzione ittica britannica viene esportata nell’Unione europea). L’ha detto, per tutti, il premier irlandese Leo Varadkar alla Bbc: “In questi casi si fanno dei compromessi (…) Si concede qualcosa nell’area della pesca per ottenere qualche concessione in aree come i servizi finanziari”.
Lo spazio di manovra è ristretto, ma nessuno ha interesse ad una battaglia prolungata. Le due parti sperano di giungere a un compromesso entro giugno. L’Ue è contraria all’idea dei mini-accordi di settore, e si capisce il perché: il suo potere negoziale aumenta se si considera il trattato nella sua interezza. Di contro, Londra cercherà di sfruttare le differenti posizioni e priorità dei 27 in merito alle varie aree sul tavolo. Finora l’Ue ha fatto fronte comune: Michel Barnier, che resta il negoziatore capo anche in questa seconda fase, cercherà di mantenere l’unità.
L’altra area calda dei negoziati sarà su quello che l’Ue chiama il “level playing field”, cioè le regole del gioco comuni. È una frase che sentiremo spesso nei prossimi mesi: più Londra adotta gli standard europei in materia di aiuti di Stato, protezione dei lavoratori, politica fiscale e protezione dell’ambiente, maggiore sarà l’accesso al mercato unico. E Bruxelles ritiene che debba essere la Corte di Giustizia dell’Ue a giudicare l’applicazione delle norme. A queste condizioni, l’Ue è pronta a garantire “zero tariffe e zero quote”. Ma Londra insiste sulla divergenza normativa, in particolare sugli aiuti di Stato, come dimostrato dall’intervento a favore della compagnia aerea Flybe. E la Corte europea è invisa ai Brexiteer. “Non ci sarà allineamento, non ci faremo imporre le regole”, ha detto al Financial Times il cancelliere dello Scacchiere, Sajid Javid.
In mancanza di accordo, i rapporti tra Regno Unito e l’Unione europea saranno regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commerciale (Wto), ma non sarebbe nell’interesse di alcuna delle due parti. Le incognite di questi negoziati sono molte. Quel che è certo è che sarà un lungo anno.