IAI
Polemiche al summit

L’ombra della Brexit sul G7 di Boris Johnson

15 Giu 2021 - Alessandra Rizzo - Alessandra Rizzo

Il summit del G7 doveva segnare, per le grandi democrazie del mondo, il ritorno all’unità dopo gli anni di Trump e il momento di svolta in cui poter guardare al futuro e alla ricostruzione, con il peggio della pandemia sperabilmente alle spalle. Per il padrone di casa, Boris Johnson, era l’occasione per dimostrare ai grandi della Terra il ruolo di leadership del Regno Unito post-Brexit, la “Global Britain”, nello slogan del primo ministro. Ma sulle spiagge bianche della Cornovaglia, non tutto è andato come previsto, e per Boris è stato un successo a metà.

Sulla lotta alla pandemia, il vertice ha trovato un fronte tutto sommato unitario. I leader hanno varato un piano per offrire ai Paesi in via di sviluppo un miliardo di dosi di vaccino entro i prossimi 12 mesi. L’impegno è stato però giudicato poco ambizioso e inferiore ai reali bisogni della popolazione mondiale, stimati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in 11 miliardi di dosi. L’Oxfam, l’agenzia che ha lo scopo di ridurre la povertà globale, ha accusato i leader di “non essere stati in grado di affrontare la sfida dei nostri tempi”; per Gordon Brown, ex premier laburista, la riunione presieduta da Johnson è stata “un’occasione mancata” e un “fallimento morale imperdonabile”.

Il primo ministro britannico ha difeso l’impegno del G7, dicendo ai giornalisti nella conferenza stampa di chiusura che si tratta di “un grande passo verso la vaccinazione del mondo intero”. Per Joe Biden è un inizio, una base su cui costruire.

Il diverso approccio sulla Cina
Il vertice ha adottato un piano globale per la gestione e il contenimento di eventuali pandemie future, con l’obiettivo di ridurre i tempi per la ricerca e lo sviluppo di un vaccino da 300 a 100 giorni. Ma l’idea americana di sospendere i brevetti dei vaccini non ha avuto seguito. I leader hanno inoltre chiesto alla Cina di consentire all’Oms di condurre un’indagine nuova e trasparente sulle origini del virus.

Ma rispetto alla Cina, ci sono state differenti sfumature: un approccio più muscolare e duro da parte di Biden; toni più morbidi da parte dell’Europa, intenta a non fare di Pechino un nuovo nemico globale; e il Regno Unito di Johnson a metà tra i due. Il comunicato finale frutto del compromesso nomina apertamente la Cina una manciata di volte, denunciando violazioni dei diritti umani contro la minoranza degli uiguri nello Xinjiang e a Hong Kong.

Londra ha sfoderato tutto l’arsenale possibile del suo soft power, a cominciare dall’arma più efficace, la Famiglia Reale, con tanto di family photo con la regina Elisabetta, mentre Kate ha intrattenuto la first lady americana Jill Biden. Il cielo azzurro, le passeggiate sulla spiaggia e un barbecue serale a base di aragosta (con scarso distanziamento sociale) hanno fatto il resto. I leader sono stati concordi nell’esprimere un clima di rinnovata unità e fiducia nel G7, merito di un presidente americano tornato multilateralista che ha fatto dimenticare Trump.

Fra l’Atlantico e la Manica
E sicuramente tra le note positive per Johnson c’è stato l’incontro a margine con Biden, con la firma di una nuova “Carta Atlantica” ottant’anni dopo quella firmata da Roosevelt e Churchill. Allora c’era l’affermazione dei principi democratici durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, oggi c’è il tentativo di ricostruzione dopo la devastazione dalla pandemia. Johnson non ama la definizione di “special relationship”, ma ha detto di considerare il rapporto Londra-Washington “indistruttibile”.

A rovinargli la festa è arrivata, nemmeno a dirlo, la Brexit, e in particolare la questione del protocollo nord-irlandese, che da ultimo ha preso la forma della “guerra delle salsicce”. La disputa sull’applicazione del protocollo che mira a impedire il ritorno di un confine fisico tra Dublino e Belfast è se possibile peggiorata, con accuse reciproche tra le due parti e parole dure. E Johnson non ha fatto nulla per abbassare i toni, anzi.

Lui e il suo ministro degli Esteri, Dominic Raab, hanno lamentato come molti leader europei considerino l’Irlanda del Nord quasi un Paese separato, come se non facesse parte del Regno Unito. Johnson ha rivendicato la sovranità nazionale e l’integrità territoriale (“Siamo un unico Paese, gli deve entrare in testa!” ha detto, poco diplomaticamente), e giurato di difenderle “a tutti costi”. I vertici europei hanno accusato Londra di non rispettare un patto che è stato concordato e firmato, e che è entrato in vigore solo pochi mesi fa. Il presidente francese Emmanuel Macron sembra non aver gradito il fatto che durante il suo incontro a margine con Johnson, il premier britannico abbia tirato fuori la questione delle salsicce. Un presidente francese visibilmente irritato ha detto ai giornalisti di non aver mai messo in discussione l’integrità del Regno Unito, e ha invitato la controparte ad applicare l’accordo ed evitare polemiche inutili.

Johnson ha insistito nel sottolineare un clima di “straordinaria armonia” durante i tre giorni di incontri. La Brexit, ha detto, ha occupato una parte minuscola dei colloqui tra i leader. Sarà anche così, vista l’importanza dei temi in agenda. Ma è difficile allontanare l’impressione di un vertice se non rovinato, quantomeno compromesso dalla polemica. I grandi della Terra si sono ritrovati a parlare di persona per la prima volta dallo scoppio della pandemia, ma il padrone di casa è rimasto invischiato in una lite pubblica con il vicino. Fortunatamente per Johnson, almeno Biden si è tenuto alla larga dalla questione nord-irlandese durante il vertice, nonostante gli stia molto a cuore.

In un summit con molte luci, la Brexit ha gettato la sua lunga ombra.

Foto di copertina EPA-EFE/Hollie Adams / POOL