“Global Britain”: la scommessa di Londra nello scenario internazionale
Il documento di circa 100 pagine “Global Britain in a Competitive Age. The integrated Review of Security, Development and Foreign Policy”, pubblicato dal governo britannico il 16 marzo, ha l’ambizioso obiettivo di indicare le priorità post Brexit del Regno Unito. Dopo aver voltato le spalle all’Europa, Londra è alla ricerca di un nuovo ruolo nello scenario internazionale, che consenta al Paese di non restare intrappolato nello status quo del dopo Guerra fredda. Si giustifica così lo sforzo di delineare gli strumenti per affrontare le sfide del XXI secolo, con un’agenda che apra nuove prospettive per la politica estera e di difesa fino al 2030.
Il documento vuole dare un contenuto concreto allo slogan della “Global Britain”, per dimostrare che non si tratta solo di una nostalgica fantasia imperiale. È stato elaborato a Whitehall da un gruppo guidato da uno storico, il professor John Bew, direttore del “Centre for Grand Strategy” del prestigioso King’s College di Londra, e autore di alcune biografie di politici britannici e di un volume su storia e significato della realpolitik.
Una nuova volontà di potenza
La revisione della politica estera e di difesa appena varata rovescia la scelta fatta nel 1968 dall’allora governo laburista di ritirarsi East of Suez, che prendeva atto della necessità di smantellare il ruolo imperiale della Gran Bretagna. Nel 2021 Londra adotta un documento che sposta di nuovo East of Suez il centro di gravità della sua politica estera.
L’indicazione principale è infatti di basarne il focus verso la regione dell’Indo-Pacifico, diventata il nuovo centro geopolitico e economico. Molte le questioni aperte anche se resta una continuità di fondo: la riaffermazione della leadership nella Nato, l’alleanza con gli Stati Uniti, l’impegno per il multilateralismo, il sostegno ai diritti umani e alle società aperte. Con l’ambizione però “to shape the international order of the future”, che si auspica aperto e resiliente. Non l’unica ambizione del Regno Unito, in realtà, visto che vi è anche quella di diventare entro il 2030 una “superpotenza” scientifica e tecnologica, basata sui successi del vaccino e sulla convinzione di avere nella lingua inglese, nel soft power, nel rating delle proprie università delle carte importanti rispetto ad altri attori.
Prendendo atto della crescente importanza della regione, è previsto più impegno e presenza militare nell’Indo-Pacifico andando a sfidare la Cina, definita il “biggest state-based threat” alla sicurezza economica del Regno Unito, ma Pechino resta un partner importante per commercio e investimenti. È già stato annunciato che a maggio la portaerei Queen Elisabeth andrà nell’Oceano indiano e nel Mar cinese meridionale in coordinamento con gli Stati Uniti, dato che imbarcherà uno squadrone di F35 del Corpo dei Marines americani. Un’implicita ammissione che per la sicurezza dell’area asiatica Londra potrà essere solo un attore secondario. Altri Paesi europei, Francia e Germania hanno comunque deciso di avere una presenza navale nel Mare cinese meridionale, e anche l’Italia sta valutando l’invio di una nave in quelle acque.
Spazio economico e cyber
Importante il richiamo al rischio di un declino della democrazia e del pluralismo a causa della competizione tra Stati autoritari e Stati democratici. Nell’analisi di Londra anche il cyber spazio è diventato un terreno di competizione, dove si delinea una lotta tra “digital freedom” e “digital authoritarianism”. Il Regno Unito, basandosi sul proprio vantaggio strategico nella ricerca e tecnologia, intende affermarsi come “democratic cyber power”, unificando capacità di difesa e di intelligence.
Sul versante economico, molto rilievo viene dato all’intenzione di aderire all’accordo per il libero commercio della Trans Pacific Parnership, che raggruppa undici Paesi prevalentemente in funzione anti-cinese. Improbabile che sottoscrivere il Trans Pacific Free Trade Pact con Paesi di un’area geografica dinamica, ma molto lontana, possa compensare il collasso del commercio con l’Ue mostrato dai dati di gennaio.
Un futuro sempre meno europeo
Il documento, denso e ricco di spunti interessanti, con allegati che quantificano anche le spese necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati, rivela che Brexit non è stata un evento casuale, ma il primo passo di un’inclinazione nazionalista che ha finito per allineare il Regno Unito con le potenze revisioniste dell’ordine internazionale.
La decisione più preoccupante è quella di invertire il cammino del disarmo nucleare, con l’annuncio dell’aumento delle testate nucleari, che passeranno da 180 a 260, primo aumento dalla fine della Guerra fredda, senza chiarirne le ragioni politiche o tecniche. Non saranno certo 80 testate Trident in più a cambiare gli equilibri nucleari, mentre il segnale di un riarmo apre scenari pericolosi.
Il documento esprime una postura se non ostile certamente indifferente all’Europa, a cui è dedicata scarsa attenzione, così come manca ogni riferimento a sviluppare una relazione di sicurezza con l’Unione europea. L’impegno per la sicurezza dell’area euro-atlantica è ribadito, ma attraverso la Nato. L’accento è messo più sulla possibilità di divergere dall’Europa costruendo una relazione basata sul reciproco rispetto della sovranità e sulla libertà del Regno Unito di compiere scelte differenti, tanto sul piano economico che politico, se conveniente per gli interessi britannici.
Può darsi che il Regno Unito nutra una fiducia eccessiva nelle proprie potenzialità. Si rivela comunque un Paese che legittimamente, basandosi sulla propria storia e su alcuni punti di forza, aspira a un ruolo da protagonista nei nuovi equilibri internazionali. Come europei non possiamo che augurare buona fortuna, e provare rammarico per la rinuncia, antecedente alla scelta dell’uscita dall’Ue in realtà, da parte di Londra a giocare un ruolo di primo piano in Europa.
La scommessa della “Global Britain” è di costruire la prosperità futura del Paese lontano dall’Europa.
Foto di copertina EPA/ANDREW PARSONS / DOWNING STREET HANDOUT