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Il ministro degli Esteri russo

La diplomazia secondo Sergej Lavrov

13 Apr 2021 - Roberta Alonzi - Roberta Alonzi

Da 17 anni alla guida del ministero degli Esteri, Sergej Lavrov è più diplomatico che funzionario. Alla base della sua raffinatissima arte della diplomazia una chiara visione dell’interesse nazionale e una profonda cultura delle relazioni internazionali, elementi che lo accomunano alla figura del principe Aleksandr Gorčakov, artefice del ritorno della Russia nel concerto internazionale dopo la sconfitta nella guerra di Crimea (1853-1856).

Sin dall’esordio della sua missione di rappresentante permanente della Federazione Russa all’Onu (durata dal 1994 al 2004) Lavrov ha compreso che, nell’impossibilità di concepire il sistema delle relazioni internazionali come complesso unipolare e unilaterale, assume sempre più rilievo la forma da dare alla naturale competizione tra le principali potenze mondiali. La linea di Lavrov è in sintonia con quella di Henry Kissinger, che in più di un’occasione ha ribadito la misura in cui la Russia dovrebbe essere percepita come elemento essenziale di qualsiasi equilibrio globale. La stabilità internazionale richiede un approccio di politica estera pragmatico, basato sul perseguimento dell’interesse nazionale e disancorato dall’ideologia.

Un aspetto fondamentale che, a parere di Lavrov, a poco a poco è venuto a mancare alla diplomazia internazionale è il suo carattere multilaterale. Nel discorso pronunciato all’Assemblea dell’Onu il 27 settembre del 2019 il ministro degli Esteri russo ha fatto presente che all’interno delle organizzazioni internazionali si stanno creando “formati chiusi”, ambiti in cui si privilegiano discussioni di gruppi ristretti su temi particolari, i cui risultati vengono definiti “multilaterali”. Il Consiglio Russia-Nato, ha dichiarato al settimanale “Trud”, è diventato una piattaforma in cui i paesi della Nato tentano di istruire Mosca sulla questione ucraina, sebbene l’alleanza non abbia alcun ruolo in essa. Sorte analoga è toccata al meccanismo di cooperazione tra Russia e Unione Europea, che si è interrotto nel 2013.

L’assenza di relazioni con l’Ue
Gli ultimi incontri del ministro degli Esteri russo con gli alti rappresentanti dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell e Federica Mogherini, non hanno avuto ad oggetto le relazioni della Russia con l’Ue, ma questioni legate alla Siria e all’Iran. Ad oggi, l’unico meccanismo ancora in essere è quello definito dal Documento sulle condizioni di commercio e investimenti stipulato tra Bruxelles e Mosca, la cui applicazione pratica, però, prevede collaborazioni di tipo bilaterale. I rapporti curati dalla Russia con alcuni Paesi dell’Unione europea sono, dunque, il risultato di uno stato di fatto riconosciuto da parte russa: l’attuale assenza di relazioni con l’Ue nel suo complesso.

La perdita di multilateralismo della diplomazia internazionale, a ben vedere, è un elemento utile per comprendere come l’antagonismo tra Russia e Stati Uniti stia perdendo la sua classica connotazione di fenomeno naturale, trasformandosi in una forma di concorrenza innaturale rispetto alle esigenze di equilibrio del sistema internazionale. Con riferimento alle relazioni russo-americane, e alla necessità che seguano un buon andamento al di là dei disaccordi, Lavrov si è espresso in termini di “potenziale non utilizzato”.

(Ancora) Guerra Fredda?
È interessante notare che, in un’intervista rilasciata all’agenzia di Stato Tass nel marzo del 2019, Kissinger ha manifestato una certa cautela nei confronti dell’uso del termine “Guerra Fredda” per definire lo stato delle relazioni tra Mosca e Washington. Circa un anno dopo, in occasione del 75° anniversario dello storico incontro delle truppe statunitensi e sovietiche sul fiume Elba, sebbene la stampa non ne abbia dato molto risalto, Vladimir Putin e Donald Trump hanno adottato la “Dichiarazione congiunta sull’Elba”.  Lo “spirito dell’Elba” doveva essere un punto di partenza perché Mosca e Washington mettessero pragmaticamente da parte le divergenze e creassero un clima di fiducia e cooperazione in virtù della stabilità internazionale. I recenti accadimenti dimostrano che per il momento è difficile che esso si tramuti in un principio regolativo di politica estera.

Più che commentare le esternazioni di Biden verso Putin, Lavrov, in un’intervista trasmessa sull’emittente russa “Pervyj kanal”, ha scelto di porre l’accento sui fatti all’origine dei toni assunti dal presidente americano. Il ministro degli Esteri russo ha sottolineato che il cambio di registro, in realtà, si è verificato quando George W. Bush ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato anti missili balistici firmato con Mosca nel 1972, conseguendone l’espansione della Nato ad est e il concentramento di forze in Polonia, Stati baltici e Norvegia. La diplomazia delle sanzioni ha acquisito, a suo avviso, un carattere “ipertrofico ed ideologico” ancora prima dell’esplosione della questione ucraina. In tal modo, al dialogo propriamente diplomatico, volto alla ricerca dell’equilibrio degli interessi, si sono sostituiti gli “ultimatum”.

Al di là di ogni visione manichea delle relazioni internazionali, dalle dichiarazioni di Lavrov traspare l’esigenza di restituire un alto profilo alla diplomazia, di tornare a valorizzarne la classica funzione di bilanciamento di interessi di per sé inconciliabili.

Foto di copertina EPA/RUSSIAN FOREIGN AFFAIRS MINISTRY