Boris Johnson sotto assedio alla vigilia del voto, ma i Tory sono avanti
LONDRA. Mancano poche ore alle elezioni che porteranno milioni di britannici alle urne, e Boris Johnson è sotto assedio. Accusato di aver detto “preferisco vedere i cadaveri che si ammassano piuttosto che un altro lockdown”; di aver mentito sui fondi per finanziare una sontuosa ristrutturazione dell’appartamento di Downing Street; di aver offerto un canale di comunicazione privilegiato a ricchi imprenditori vicini al partito a scapito della trasparenza. E criticato, nelle poco lusinghiere parole del suo ex consigliere principale Dominic Cummings (oggi suo peggior nemico), “per essere caduto ben al di sotto degli standard di competenza e integrità che il Paese si merita”.
Lo stillicidio di rivelazioni ha preso in contropiede il primo ministro, con titoli molto critici anche su giornali amici, o non ostili (“Boris alle corde”, titolava qualche giorno fa il populista Daily Mail). Il rischio per lui è che scandali e vendette di palazzo, di solito relegati all’interno della bolla di Westminster, possano fare breccia tra gli elettori.
Banco di prova
Le elezioni sono il primo banco di prova per il governo dopo la pandemia e la Brexit. Per il Labour, il primo test elettorale da quando Keir Starmer è diventato segretario poco più di un anno fa. Il voto porterà alle urne 48 milioni di persone per il rinnovo dei Parlamenti devoluti di Scozia e Galles ed elezioni amministrative in Inghilterra, tra cui quella per la poltrona di sindaco di Londra (carica in precedenza occupata dallo stesso Johnson).
Non si vota invece nell’Irlanda del Nord, dove sono stati appena celebrati i 100 anni dalla fondazione. Johnson vuole consolidare il successo ottenuto alle elezioni del 2019 in aree del nord dell’Inghilterra tradizionalmente rosse; il Labour certamente confermerà il sindaco Sadiq Khan nella capitale e spera di arginare l’onda blu in Inghilterra e arrivare secondo in Scozia dopo i nazionalisti.
Su queste premesse ha fatto irruzione “lo scandalo della carta da parati” per la ristrutturazione dell’appartamento privato del primo ministro al numero 11 di Downing Street. Una storia dove resta da chiarire se un donatore privato abbia inizialmente coperto i costi; donazione che, se avvenuta, non è stata dichiarata. Per non parlare di altre rivelazioni imbarazzanti: il numero di telefonino del premier disponibile in rete da 15 anni, con ovvi rischi per la sicurezza; disinvoltura nei contatti privati, fuori dai canali ufficiali, con amici industriali e potenti del mondo (tra cui il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman).
Facile per il Labour accusare Johnson di aver riportato la sporcizia, la corruzione (“sleaze”, quasi una parolaccia nel lessico politico britannico) nel cuore del governo.
I rischi per il premier
Ma quanto importa tutto questo agli elettori, tra pandemia, vaccini, crisi economica e incertezza sul futuro? Secondo Johnson, assolutamente nulla. E i sondaggi sembrano dargli ragione. Del resto lui è già sopravvissuto a scandali personali e gaffe, per non parlare della famosa promessa durante il referendum sulla Brexit sui presunti 350 milioni di sterline a settimana da destinare alla sanità pubblica. Tutto in virtù della presunta “autenticità”: il premier non finge di essere perfetto, e punta sul carisma personale e una buona dose di populismo, lui che pure è un prodotto delle scuole di élite del Regno Unito.
Finora ha funzionato: un sondaggio di YouGov pubblicato giovedì scorso, quindi a una settimana esatta dal voto del 6 maggio, dava i Tory in vantaggio di 11 punti sul Labour. Ma le ultime rilevazioni sono un po’ meno rassicuranti per Johnson: il divario sembra assottigliarsi, e nelle aree del “Red Wall”, il muro rosso del nord, gli elettori potrebbero cominciare a prestare attenzione.
I rischi maggiori per Johnson sono nel medio-lungo termine. Uno viene dalle indagini in corso sul finanziamento dell’appartamento: se venisse accertato che il primo ministro ha violato il codice di condotta ministeriale, o avesse fatto qualcosa di illegale (come sospetta Cummings), allora i termini della questione cambierebbero. L’altro pericolo è nella percezione degli elettori: che un governo, e soprattutto un governo Tory, mantenga stretti rapporti con industriali certo non sorprende nessuno, e le accuse di “sleaze”, che funzionarono per Tony Blair contro John Major, non sembrano per ora avere lo stesso effetto per Starmer.
Ma col tempo potrebbero attecchire, e influenzare il giudizio su Johnson: notizie di carte da parati da 800 sterline e apparente snobismo verso i grandi magazzini usati dalla “middle England” non giovano all’immagine di un premier che si vuole conquistare la fiducia delle aree industriali e della “working class” che sulla Brexit lo ha sostenuto.
Quadro complesso e incognite
Il quadro che emergerà dalle elezioni sarà complesso. Una delle gare su cui si concentrano gli osservatori è l’elezione suppletiva di Hartlepool, una cittadina del nord dove la battaglia è sul filo di lana: se i Tory riuscissero a espugnare un seggio che vota rosso da oltre mezzo secolo sarebbe un colpaccio, un ulteriore “mattone” nel muro del nord che va a cadere. Per il Labour, tenere qui rappresenterebbe una vittoria psicologicamente importante, e Starmer potrebbe tirare un sospiro di sollievo.
I partiti di governo di solito queste elezioni locali di “medio-termine” le perdono. Se i sondaggi avessero per una volta ragione, sarebbe un risultato notevole per i Tory, considerando che sono al governo da oltre dieci anni, con la Brexit di mezzo e la drammatica gestione della pandemia. E molto del merito sarebbe da attribuire al successo della campagna vaccinale: ad oggi più di 15 milioni di britannici hanno avuto entrambe le dosi e 35 milioni almeno una dose. I cittadini del Regno Unito, insomma, vedono la luce alla fine del tunnel.
Ma c’è un altro, più grave rischio per Johnson, ed è quello che viene dalla Scozia. Gli indipendentisti dell’Snp, il Partito nazionalista scozzese, emergeranno certamente come il primo partito a Holyrood, il parlamento di Edimburgo. Resta da vedere se otterranno la maggioranza assoluta o meno. In ogni caso, potranno formare una maggioranza pro-indipendenza con i Verdi. Ma la leader dell’Snp e First Minister Nicola Sturgeon spera che una maggioranza assoluta le possa conferire un mandato forte per chiedere a Londra un secondo referendum sull’indipendenza dopo quello, perso, del 2014.
Finora Johnson ha respinto la richiesta, ma non potrà dire no in eterno, tanto più dopo una chiara affermazione indipendentista. Downing Street – e questa consapevolezza si sta facendo strada nel governo – dovrà trovare una strategia per contrastare l’idea di indipendenza nel merito e convincere gli scozzesi a non abbandonare un’unione che dura da oltre 300 anni.
Foto di copertina UK PARLIAMENT/JESSICA TAYLOR