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La contesa in mare

Con la Zee italiana nel Mediterraneo non c’è (quasi) più l’alto mare

21 Giu 2021 - Fabrizio De Pascale - Fabrizio De Pascale

Quando, in base alla legge approvata lo scorso 9 giugno, sarà istituita la Zona economica esclusiva (Zee) italiana, nel Mediterraneo non ci saranno quasi più spazi di alto mare. Infatti, ad eccezione di Montenegro e Albania, tutti gli Stati hanno esteso i diritti sovrani e esclusivi in materia di pesca oltre le 12 miglia del mare territoriale o hanno delimitato, con accordi bilaterali, le loro future Zee.

Rispetto al resto del mondo, dove la Zee di 200 miglia si è affermata con grande rapidità nella prassi degli Stati, nel Mediterraneo questo processo è stato tardivo e lento.

La Zee, introdotta dalla Convenzione di Montego Bay (Unclos), ha rivoluzionato il diritto del mare, “abolendo” il principio della libertà di pesca entro le 200 miglia dalla costa. L’istituzione della Zee è un atto unilaterale che non necessita del consenso o del riconoscimento da parte di altri Stati per essere valido, a differenza dei suoi “confini” che vanno definiti in via bilaterale. La Unclos riconosce l’esistenza dei mari “chiusi o semi-chiusi” ma non prevede nessuna “deroga” al diritto alla Zee, limitandosi a raccomandare la cooperazione tra gli Stati rivieraschi per assicurare la buona gestione delle risorse biologiche. Quattro Paesi mediterranei non hanno firmato la Unclos (Israele, Siria, Grecia e Turchia). La Grecia l’ha ratificata successivamente, cosa che invece non ha ancora fatto la Libia.

Occorre precisare che la pesca, sulla quale lo Stato costiero gode di diritti sovrani, è l’unica attività regolata dalla parte V della Unclos, dedicata alla Zee, in quanto le altre materie (ricerca scientifica e protezione dell’ambiente marino) sulle quali, peraltro, lo Stato costiero ha solo “giurisdizione”, sono regolate in altre parti della Unclos, come anche i diritti sovrani sulle risorse non biologiche della piattaforma continentale. Quindi, quando si parla di Zee si parla solo ed esclusivamente di pesca.

Cronistoria delle Zee nel Mediterraneo

Nel 1982, data di firma della Unclos, mentre un centinaio di Paesi avevano già istituito una ZEE, nel Mediterraneo solo la Tunisia (1951, in base al criterio di profondità di 50 metri) e Malta (1975, 25 miglia) avevano esteso i loro diritti di pesca oltre le 12 miglia. La situazione non cambia nel decennio successivo e, solo nel 1994, quando entra in vigore la Unclos, l’Algeria introduce una zona esclusiva di pesca variabile tra 32 e 52 miglia dalla costa, prevedendo la confisca dei battelli e procedimenti giudiziari per gli stranieri sorpresi a pescare senza autorizzazione nella zona.

Nel 1997, la Spagna (che insieme alla Francia aveva già proclamato una Zee nell’Atlantico) è il primo Paese europeo a istituire una zona di protezione della pesca ampia 49 miglia oltre il mare territoriale, con diritti sovrani su conservazione, gestione e controllo della pesca (zona trasformata in Zee e ridotta a 46 miglia nel 2013). Nello stesso anno, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto e Siria, Paesi membri della Commissione generale per la pesca Mediterraneo (Cgpm), dichiarano congiuntamente “l’interesse ad avere diritti sovrani sulle loro risorse viventi per mezzo dell’istituzione di Zee”.

Passano ancora cinque anni e, nel 2003, la Conferenza di Venezia sulla pesca nel Mediterraneo approva una dichiarazione che, senza mai nominare né la Unclos né la Zee, afferma: “Nel contesto di una maggiore cooperazione fra tutti gli Stati, la creazione di zone di protezione consente di migliorare la conservazione e il controllo delle attività di pesca e contribuisce a una migliore gestione delle risorse”. Tra il 2003 e il 2012, undici Paesi introducono delle Zee o zone di pesca protette o riservate: Croazia, Siria, Egitto, Cipro, Libia, Tunisia, Malta, Slovenia, Israele, Libano e Francia. In generale non ne viene indicata l’estensione, mentre i limiti, in alcuni casi, sono considerati quelli “previsti dal diritto internazionale”, in altri “sono da definire tramite accordi bilaterali”.

In sostanza, quindi lo scacchiere attuale delle Zee nel Mediterraneo era già perfettamente delineato sin dal 2012.

Una situazione cristallizzatasi 
Da allora, poco è cambiato fino al 2018, quando l’Algeria ha proclamato una “nuova” Zee che si estende ben oltre la linea di equidistanza, giungendo a lambire il limite del mare territoriale italiano in Sardegna.

Egitto e Israele, pur non proclamando formalmente una Zee ne definiscono i limiti in due accordi con Cipro (rispettivamente nel 2003 e 2010). La Libia (62 miglia nel 2005) si rifà ai contenuti della Dichiarazione di Venezia del 2003. La Croazia (2003) considera il confine stabilito dalla ex-Jugoslavia con l’Italia nel 1968 per la piattaforma continentale come limite provvisorio della sua zona di protezione ecologica e della pesca (trasformata in Zee nel 2021).

Nella lista manca l’Italia, malgrado nel 2006 abbia varato una legge con la quale si autorizzava l’istituzione di zone di protezione ecologica oltre il mare territoriale (la prima viene istituita nel 2011 nel mar Tirreno). L’esclusione è dovuta al fatto che la pesca è esclusa dal campo di applicazione della legge che, peraltro, non prevede diritti sovrani o esclusivi all’interno di queste zone.

Nel frattempo, nel 2019, Libia e Turchia definiscono un tratto (circa 20 miglia) di confine tra le loro Zee (che però la Turchia non ha ancora proclamato); la stessa cosa fanno Italia e Grecia nel 2020, confermando per le loro future Zee il confine già definito nel 1977 per la piattaforma continentale.