Puzzle mediorientale su Baghdad
La situazione medio orientale è in tumultuosa evoluzione. È difficile articolare una politica regionale coerente, di medio periodo, che possa sperare di abbassare il livello della conflittualità, se prima non si comprendono le cause profonde di ciò che sta avvenendo in questi giorni e in qual modo vengono coinvolti i maggiori attori internazionali.
Rivalsa del Kurdistan iracheno
Gli Stati Uniti non sembrano essere in grado, né avere l’intenzione, di farsi coinvolgere direttamente nelle dinamiche interne dell’Iraq o della Siria. L’ Unione europea è solo marginalmente e poco impegnata negli sforzi per ridurre la crisi umanitaria in corso in questa regione.
Il governo regione del Kurdistan (Krg) è ad oggi l’unico attore apparentemente disponibile ad assistere le vittime dalla violenza, anche se in realtà sta sfruttando questa opportunità per allargare il suo controllo sui territori contestati, cominciando da Kirkuk, ma tenendo d’occhio anche Telafar, come via d’accesso a Sinjar.
La Turchia, che tradizionalmente si opponeva alle intenzioni curde su Kirkuk, sembra ora più disponibile a mantenersi fuori della mischia, forse anche perché il petrolio controllato dai curdi iracheni viene esportato attraverso il terminale turco di Ceyhan, sul Mediterraneo.
Ankara inoltre è in qualche difficoltà a causa del sequestro di 49 membri del suo staff consolare a Mosul e di circa 30 autotrasportatori, da parte dell’ Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), malgrado i rapporti ufficiosi mantenuti con questa organizzazione. In altri termini, sembra che la politica turca in Siria le si sia ritorta contro in Iraq.
Sostegno iraniano a Maliki
L’Iran, d’altra parte, sta proponendo agli Stati Uniti di unire le forze contro i terroristi, come se il gruppo terrorista Al-Quds non fosse coinvolto negli scontri in Iraq. L’Iran sta anche chiedendo all’Iraq di ricercare un rinforzo militare, così da riuscire a coinvolgere il proprio esercito in aggiunta alle forze armate di Qasim Suleimani.
L’Ayatollah sciita Ali-Sistani, che ha sempre mantenuto le distanze dagli sviluppi politici, ha invocato una politica jihadista. Moqtada Al-Sadr ha dichiarato di essere pronto a combattere l’Isil. Il primo ministro sciita Nuri Al-Maliki, in un attimo di disperazione, ha sollecitato tutti i cittadini iracheni a imbracciare le armi contro l’Isil, come se lui non avesse niente a che vedere con l’insurrezione sunnita in Iraq.
Samarra, dove la guerra partigiana ebbe inizio nel 2005, dopo il bombardamento della moschea di Al-Askariya, è di nuovo sotto attacco, questa volta dell’Isil. Qualora l’Isil ravviasse un conflitto settario a Samarra, questo significherebbe l’inizio della fine della nostra concezione attuale dell’Iraq.
Quando Iraqyye vinse le elezioni del 2010, la popolazione irachena indicò con chiarezza quanto fosse forte il desiderio di un cambiamento politico. Essa dimostrò di esser stanca dell’atteggiamento ipocrita con cui i mullah si atteggiavano a difensori dei suoi diritti, senza peraltro far seguire i fatti alle parole, e sperò in un cambiamento di governo che riuscisse d assicurare al paese quei servizi di cui ha un bisogno disperato.
Dopo quasi dieci mesi di battibecchi post-elettorali, nulla è cambiato. L’Iran ha fatto sì che si finisse per tornare esattamente allo stesso punto di partenza. Gli Stati Uniti hanno assecondato questa situazione. Dopo aver assunto la carica per la seconda volta, Maliki si è impegnato a fondo nel tentativo di ottenere un controllo personale sia delle forze armate del paese sia del sistema di sicurezza. Inoltre ha eliminato dall’Intelligence coloro che reputava a lui infedeli e ha assunto il controllo delle Forze Speciali.
Sunniti nel mirino
L’uso politico del sistema di sicurezza e del sistema giudiziario ha raggiunto vertici preoccupanti già dalla fine del 2012. Non solo i politici sunniti, ma anche popolazione sunnita in generale si è trovata nel mirino delle forze sciite di Maliki. Ciò ha coinciso con l’inizio delle proteste sunnite dopo la preghiera del venerdì. La prima principale repressione di queste proteste ha avuto luogo a Hawice, nell’aprile del 2013, quando 300 protestanti furono barbaramente uccisi.
Chi conosce il successo della “politica di impatto” del generale usa David Petreaus si ricorderà di quando Al-Qaeda si ritrovò isolato dalle tribù sunnite grazie all’impegno del Movimento per il risveglio sunnita.
In quella occasione Al-Qaeda venne sopraffatta dalle forze armate statunitensi in cooperazione con le tribù sunnite. I membri del Movimento furono disponibili per tale collaborazione poiché erano state procurate loro concrete opportunità di lavoro nel settore della pubblica amministrazione ed era stato promesso un loro maggiore coinvolgimento a livello politico regionale.
Tuttavia, anche in quel caso, Al-Qaeda non mise mai fine al tentativo di arruolare nuove reclute, puntando specialmente sui disoccupati e su persone senza sussidi economici.
Da Al-Qaeda all’Isil
Al-Qaeda ha avuto nuovamente la meglio quando Maliki ha sviluppato una politica di progressivo strangolamento della comunità sunnita. Maliki è arrivato al punto di affermare che la punizione inflitta ai militanti sunniti avrebbe rappresentato un buon esempio per evitare nuove sfide contro la sua autorità. L’Iran lo ha appoggiato insieme alle forze di Al-Quds.
In risposta, il Consiglio sunnita degli ulema (il Consiglio dei Dotti Islamici) nonché la Commissione delle tribù sunnite hanno finito per stringere un rapporto di collaborazione con l’Isil, nel presupposto che quest’ultimo fosse comunque un male minore rispetto al governo attuale a Baghdad.
L’Isil ha assunto il comando negli scontri recenti, ma le fondamenta erano già state stese dalle tribù sunnite. È probabile che queste stesse tribù capiranno presto che l’ Isil non costituisce affatto un male minore, ma un’altra minaccia esistenziale. A quel punto, potremmo vedere un’altra collisione all’interno della comunità sunnita.
Al momento nessuno sa dove o quando questi scontri avverranno e se finiranno per trasformarsi in una guerra settaria generalizzata. Alcuni parlano della opportunità di sviluppare una vera politica regionale, ma in realtà non sembra esistere una forza in grado di delineare tale politica, né tantomeno di metterla in pratica.
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