Africa: approccio complessivo a sviluppo, stabilità, migranti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una sintesi, a cura dell’ambasciatore Maurizio Melani, del Dialogo diplomatico ‘Per un approccio complessivo allo sviluppo ed alla stabilità dell’Africa e al fenomeno migratorio’, organizzato il 18 giugno 2018 dal Circolo di Studi diplomatici e introdotto dal ministro plenipotenziario Giuseppe Mistretta, direttore dentrale per l’Africa Sub Sahariana e vice-direttore generale vicario della Direzione generale della Mondializzazione del Ministero degli Esteri, e dal orofessor Jean Léonard Touadi, docente di Geografia dello sviluppo in Africa all’Università Tor Vergata, co-presidente del Centro Relazioni con l’Africa della Società geografica e già deputato al Parlamento italiano.
Il Dialogo ha preso le mosse dalla consapevolezza della necessità e dell’urgenza di un approccio coordinato e complessivo ai problemi dello sviluppo e della stabilità dell’ Africa, al quale i flussi migratori verso l’Europa conferiscono una rinnovata drammatica attualità.
Il prodotto interno lordo africano complessivo è cresciuto in modo sostenuto nel primo decennio di questo secolo. Vi è stata una riduzione complessiva della povertà assoluta, scesa dal 60% della popolazione nel 1993 al 40% nel 2010. In alcuni paesi come Etiopia, Ghana, Botswana e in alcune fasi Angola e Mozambico l’aumento del Pil è stato a due cifre. Il rallentamento, poi intervenuto in larga parte a causa della crisi mondiale, sembra in corso di superamento.
Una crescita squilibrata con emerginazioni ed esclusioni
Ma si è trattato di una crescita squilibrata con ampi fenomeni di emarginazione ed esclusione, spesso su base etnica o percepita come tale considerata la natura prevalente degli Stati africani e delle loro composizioni sociali, E’ stata inoltre una crescita impedita o frenata in molte parti da conflitti, cambiamenti climatici, processi di desertificazione accentuati da investimenti con gravi impatti ambientali.
I fattori di questa crescita dell’ Africa sono molteplici. In primo luogo gli investimenti esteri, inclusi quelli di affluenti diaspore che hanno stimolato anche quelli interni, favoriti da nuove politiche economiche che hanno superato le chiusure e i sostanziali monopoli dei tempi post-coloniali e della Guerra Fredda. Le aperture democratiche degli Anni Novanta con un ritrovato pluripartitismo, spesso però su base etnica, ed elezioni a volte sfociate in nuovi conflitti, si sono unite a forme di economia di mercato funzionali agli incipienti processi di globalizzazione.
Questi investimenti dall’estero hanno continuato ad essere soprattutto nel settore primario, minerario e agricolo, come in epoca coloniale, ed ora anche nei servizi, ma con nuovi attori: le ex-potenze coloniali, gli Stati Uniti ed altri Paesi dell’Ocse, ma anche soprattutto la Cina e poi i Paesi del Golfo, l’India e il Brasile. Recentemente, dopo che l’industrializzazione asiatica trainata dalla globalizzazione ha fatto crescere consumi e costo del lavoro, investimenti sono però giunti anche nel settore manifatturiero, dalla Cina, ma anche da altri paesi di Europa, Asia e Americhe. E’ questo il settore, accanto a quello della sicurezza alimentare, che produce più occupazione, reddito diffuso e trasformazioni sociali ed è quindi quello più funzionale allo sviluppo, soprattutto se in grado di determinare un indotto gestito da una imprenditoria locale. Come lo sono le rimesse degli emigranti.
Le prospettive demografiche
La necessità di uno sviluppo più equilibrato e sostenibile in Africa si misura sulle prospettive di crescita della sua popolazione che ora supera il miliardo di persone e potrà raggiungere i due miliardi nel 2055. Quanto più queste persone saranno prive di lavoro e redditi nel proprio Paese, tanto più saranno tentate di cercare fortuna e benessere altrove. Secondo dati dell’Onu, nel 2015 su 34 milioni di africani emigrati 21 milioni erano migranti interni e 13 migranti all’esterno del continente, con una parte consistente peraltro verso paesi del Golfo. Prevale quindi ancora l’emigrazione interna, ma quella verso l’esterno è in costante aumento.
Tutto questo richiede un grande sforzo coordinato della comunità internazionale ed in primo luogo dell’Europa o di quella parte di essa che vorrà e saprà farlo, coinvolgendo anche gli altri grandi attori mondiali perché se è vero che questo è soprattutto un problema euro-africano i suoi effetti a livello globale sono evidenti. Questo piano deve potere favorire uno sviluppo sostenibile e inclusivo, privilegiando le attività generatrici di occupazione e di reddito, la sicurezza alimentare e ambientale; intensificando anche la diffusione delle fonti di energia rinnovabili, il sostegno alle capacità di buon governo; con una attenzione all’aspetto demografico, sostenendo l’educazione alla maternità responsabile e l’’empowerment’ della popolazione femminile. Andranno anche riattivati canali di migrazione legali considerando le esigenze dei paesi di provenienza e di quelli di arrivo.
Il rapporto con l’Europa e con l’Italia
Tale azione va ovviamente svolta assieme ai governi africani, trovando il modo di aiutarli a superare i loro diffusi limiti di capacità e di buon governo, e alle organizzazioni regionali e sub-regionali africane con in primo luogo l’Unione africana. Queste carenze derivano in larga parte da come hanno avuto luogo la decolonizzazione e l’insediamento di leadership che non hanno operato per superarle, durante la guerra fredda e poi con l’arrivo di nuovi attori nel quadro della globalizzazione.
L’istituzione di una zona di libero scambio continentale decisa in marzo dall’Ua è un passo importante verso l’integrazione economica necessaria allo sviluppo, ma occorrono le infrastrutture per renderla operativa e per questo occorrono investimenti esteri.
In tale contesto, l’Italia ha un ruolo importante da svolgere purché vi impieghi le risorse e il capitale politico necessari, considerando le opportunità per il suo settore produttivo e le esigenze di approvvigionamenti energetici e di materie prime, le specificità delle sue preoccupazioni migratorie valorizzando le sue capacità ed anche il capitale umano e di credibilità del suo volontariato e delle presenze religiose. Sul piano politico essa dovrebbe in particolare riprendere a favorire con il coinvolgimento dell’Ue le prospettive di pace recentemente apertesi tra Etiopia ed Eritrea, nonché la stabilizzazione in Somalia, Sud-Sudan e paesi saheliani. All’interno dovrebbe migliorare le modalità di accoglienza e integrazione di chi arriva, al di là dei molti positivi esempi di convivenza esistenti.
Un aumentato impegno globale per l’Africa si è avuto negli ultimi anni, con visite ai massimi livelli, ampliamento della rete diplomatica e maggiori stanziamenti, ancora insufficienti e il cui impiego è inoltre limitato da carenze nelle capacità di spesa. l’Italia è comunque attualmente il terzo investitore estero in Africa, dopo Cina ed Emirati, con una grandissima parte degli investimenti nel settore energetico. E’ da auspicare che tutto questo multiforme impegno continui e si rafforzi quantitativamente e qualitativamente.