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Non solo Boko Haram

Nigeria: alle radici del terrore, fra desertificazione e miseria

5 Set 2018 - Jesse Colzani - Jesse Colzani

Dall’inizio dell’anno, in Africa, si sono verificati circa cento attacchi violenti contro civili ogni settimana, causando decine di migliaia di morti. Alcuni si possono ricondurre alla guerra civile nel Sud Sudan, altri ai conflitti interni nella Repubblica Centrafricana, altri ancora ai movimenti insurrezionali nel Corno d’Africa.

Nei decenni, d’altronde, il continente africano ci ha abituati a questo genere di dinamiche, in quanto prodotto di quello scenario post-coloniale aggravato da conflitti tribali e governi corrotti. Molti di questi attacchi, però, si sono rivelati essere particolarmente sanguinosi e sono stati rivendicati spesso da organizzazioni terroristiche che vengono ricondotte al sedicente Stato Islamico e ad Al-Qaeda. Quest’azione violenta da parte delle milizie islamiche si è prevalentemente concentrata vicino alle zone desertiche dell’Africa occidentale e della Somalia. Tra le organizzazioni terroristiche più attive, Boko Haram costituisce quella più degna di nota a causa della sua diffusione e della violenza utilizzata.

Guerriglieri ancora potenti
Boko Haram significa letterarmente “l’istruzione occidentale è proibita”. I suoi membri sono estremisti islamici ostili all’occidente, e sono presenti nella metà settentrionale del territorio della Nigeria, in cui la popolazione è povera e prevalentemente musulmana. Esso costituisce probabilmente il gruppo terroristico più pericoloso e potente del continente. Sebbene sia stato notevolmente indebolito nel 2015 da un’efficace operazione militare a guida occidentale, esso mantiene il controllo su un vasto territorio nella regione del Lago Ciad.

Nato nove anni fa nella regione del Borno, Boko Haram si è da subito dimostrato essere un gruppo molto violento. Nel 2014 attirò su di sé l’attenzione del mondo intero, dopo il rapimento di 276 studentesse cristiane a Chibok. L’anno successivo, a seguito dell’affiliazione con l’Isis, Boko Haram si è affermato nello scacchiere geopolitico come organizzazione strutturata, nonché come considerevole minaccia per le nazioni dell’Africa occidentale. Ad oggi, i suoi militanti hanno causato decine di migliaia di morti e quasi tre milioni di sfollati. Oltre ai numerosi attentati nelle principali città della regione, Boko Haram attacca i villaggi, arruolando uomini e bambini per combattere e compiere attacchi suicidi.

Nonostante il governo di Abuja si sia impegnato da tempo a combattere il sedicente Califfato – con il supporto militare di Camerun, Niger, Ciad, Stati Uniti, Regno Unito e Francia – i militanti islamici sono riusciti a rimanere attivi grazie a due fattori determinanti: le condizioni geografiche e le dinamiche sociali della regione.

Oggi, le zone dell’Africa in cui vi è una maggiore presenza di conflitti si concentrano nei dintorni di una precisa area geografica del continente, il Sahel, territorio semidesertico che si estende a sud della zona equatoriale del continente africano. Il Sahel risulta essere una delle regioni più colpite al mondo dai cambiamenti climatici, in quanto travolto dalla desertificazione che ha permesso al Sahara di espandersi del 10% negli ultimi cento anni. Le conseguenze per le popolazioni locali sono a dir poco devastanti. La regione del Lago Ciad, per esempio, è stata colpita da gravi carestie e siccità a seguito della quasi totale scomparsa di quello che era uno dei laghi più vasti del continente.

Lo scontro fra pastori e contadini
Viene da sé che i popoli provenienti da quelle terre debbano, in qualche modo, adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Particolarmente emblematico è il caso dei Fulani, un popolo di pastori musulmani originario dell’Africa dell’ovest. A causa della desertificazione del Sahel, la storica tensione tra pastori Fulani e contadini cristiani si è intensificata, fino a sfociare in conflitto civile. Infatti, mentre i pastori sono costretti a migrare verso sud, l’agricoltura nigeriana sta conoscendo una notevole espansione che si spinge verso nord. È osservabile come, negli ultimi anni, uomini di appartenenza Fulani siano improvvisamente entrati in possesso di una notevoli quantità di armi con cui si sono resi responsabili di un’impressionante quantità di attacchi violenti che stanno tenendo occupati i soldati dell’esercito nigeriano, oltre che attirare l’attenzione dell’opinione pubblica del Paese, distogliendo entrambi dalla questione Boko Haram.

Nonostante la situazione in Nigeria sia di grande rilievo – soprattutto essendo questa la prima economia del continente e la ventiseiesima nel mondo – si consideri che Boko Haram non costituisce un caso isolato, ma che sia invece uno dei tanti gruppi terroristici che sono comparsi in aree con tassi di povertà estrema.

Come per l’Isis in Siria, Al-Shabaab in Somalia e Al-Qaeda in Mali, la strategia di queste organizzazioni è sempre la medesima: dopo aver individuato zone con un vuoto governativo e dove la popolazione vive in stato di bisogno, ne attaccano i villaggi e le città, accrescendo la propria forza militare grazie alla vulnerabilità della popolazione che si ritrova costretta ad unirsi a loro in cambio di beni di prima necessità.

La risposta sbagliata alle offensive
Finora, le uniche misure adottate per contrastare questo fenomeno sono state controffensive militari – direttamente proporzionali al valore mediatico degli attentati compiuti –, utili solo a far retrocedere le milizie islamiche nelle aree desertiche in cui queste ultime hanno considerevole controllo militare. È però risultato evidente come gli attacchi sferrati dalle Forze armate siano risultati poco efficaci e in alcuni casi addirittura controproducenti. È però altrettanto chiaro che in mancanza di una consolidata presenza governativa nelle aree in questione, i gruppi terroristi potranno sempre sfruttare queste terre per riorganizzarsi e passare inosservati attraverso le frontiere degli stati confinanti.

A voler ben vedere, indipendentemente dalle strategie militari che verranno adottate, il problema di fondo risiede nella miseria in cui sono costrette a vivere le persone. Infatti, fintanto che le popolazioni locali saranno costrette a vivere in estrema povertà, esse continueranno a favorire la sopravvivenza di questi pericolosi gruppi, che sfrutteranno l’esponenziale crescita demografica dei Paesi nel Sahel per assicurarsi un apporto continuo di combattenti. In termini di cooperazione internazionale, non vi è stato alcun progetto meritevole di considerazione.

Peraltro, a fronte della gravità e della persistenza delle minacce terroristiche nelle regioni, viene da domandarsi se il supporto finanziario da parte della comunità internazionale sia sufficiente, e se quest’ultima sia disposta ad accettare il rischio di un aumento dell’influenza sul territorio da parte di queste organizzazioni.

Foto di copertina © Sally Hayden/SOPA via ZUMA Wire