IAI
Prevenzione e gestione delle crisi

Debito sovrano: Eurozona decide e l’Italia sta a guardare

6 Dic 2018 - Franco Passacantando, Nicola Bilotta - Franco Passacantando, Nicola Bilotta

Il dibattito politico sui rapporti tra Italia e Unione europea (Ue) si è polarizzato negli ultimi tempi sulla manovra finanziaria proposta dal governo italiano e sulla possibile attivazione di una procedura di infrazione sulle regole del debito. È quasi del tutto assente dalla discussione politica nazionale un confronto sulla riforma della governance economica dell’eurozona, nonostante essa sia decisiva per il futuro assetto dell’Unione economica e monetaria (Uem) e per gli interessi nazionali.

I risultati già conseguiti
La crisi del biennio 2011-2012 aveva evidenziato i limiti dell’Uem: il contagio che ha trasformato la crisi di un’economia di dimensioni ridotte, come quella greca, in una crisi di dimensioni comunitarie ha reso palese l’incompletezza dell’architettura istituzionale europea, priva di strumenti efficaci per contrastare shock asimmetrici.

Dal 2012 molto è stato fatto: è stato istituito il Meccanismo europeo di Stabilità (Mes), la supervisione bancaria è stata affidata alla Banca centrale europea ed è stato creato un meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie.

Nei prossimi giorni poi il Consiglio europeo molto probabilmente approverà alcun proposte per semplificare la ristrutturazione dei debiti pubblici e potenziare gli strumenti a disposizione del Mes a cui verrà data la facoltà di rifinanziare anche il fondo di risoluzione bancaria.

Tuttavia altre proposte avanzate dalla Commissione europea a fine 2017, come l’istituzione di un sistema di assicurazione dei depositi europeo, la creazione di un bilancio unico europeo, la trasformazione del Mes in un vero e proprio Fondo monetario europeo e l’introduzione della figura del Ministro delle Finanze europeo non sembrano aver avuto alcun seguito.

La controversia sul ruolo del Mes
Uno dei punti più controversi riguarda il ruolo che dovrebbe avere il Mes nel gestire le crisi del debito sovrano nel caso in cui un Paese dell’area euro dovesse perdere accesso ai mercati per finanziare il suo debito.

La posizione più rigida prevede che, per avvalersi del sostegno da parte del Mes, un Paese in difficoltà debba prima ristrutturare il proprio debito. Questa proposta è pericolosa per vari motivi. Anzitutto è molto difficile da un punto di vista tecnico stabilire se un Paese ha un debito sostenibile o no. La decisione, inevitabilmente discrezionale, assumerebbe quindi un connotato fortemente politico, con il rischio di alimentare ulteriormente le posizioni sovraniste ed anti europee oggi sempre più popolari.

Per evitare questa politicizzazione alcuni propongono di fissare soglie numeriche, superate le quali il debito verrebbe ristrutturato. In questo modo si innescherebbe però una crisi di fuga dai titoli di Stato al solo avvicinarsi del debito alla soglia numerica. Inoltre gran parte del debito è ormai detenuto da intermediari finanziari e i privati residenti nel paese, soprattutto in Italia. Una sua ristrutturazione avrebbe pesanti conseguenze sulla domanda interna e porterebbe a un crollo del sistema finanziario del Paese.

I meccanismi delle crisi dei debiti sovrani
In realtà le crisi dei debiti sovrani, pur essendo quasi sempre messe in moto da comportamenti irresponsabili dei governi nazionali, sono spesso amplificate dalle aspettative che un Paese non sarà in grado di contenere la crescita dei tassi di interesse. Si genera quindi un circolo vizioso secondo cui i tassi salgono perché si teme che il debito sia insostenibile e il debito diventa insostenibile perché i tassi continuano a salire.

Questo meccanismo è molto potente specialmente nell’area dell’euro dove i costi per spostare capitali e depositi bancari da un Paese all’altro sono stati minimizzati grazie alla completa liberalizzazione dei movimenti di capitali, l’abolizione del rischio di cambio e la creazione di un sistema integrato dei pagamenti il cui pilastro centrale è il sistema elettronico Target2 gestito dalla Banca centrale europea.

Inoltre ogni Paese prende fondi a prestito in euro ma poiché nessun Paese membro può emettere autonomamente euro, la fuga di capitali da un Paese ha un impatto immediato sulla percezione del rischio di default o addirittura di uscire dall’euro. I mercati possono diventare rapidamente illiquidi e i Paesi perdere accesso a fonti di finanziamento a condizioni coerenti con le prospettive di crescita del Paese.

È quindi importante che vengano messi in atto meccanismi di finanziamento che abbiano lo scopo di spezzare questa spirale di aspettative perverse. È quanto fu fatto dalla Banca centrale europea nel 2012 con il famoso annuncio del “whatever it takes” e che ora dovrebbe essere istituzionalizzato nell’ambito del Mes.

Il disaccordo continua a essere sulle tempistiche e la modalità con cui debba avvenire una condivisione del rischio tra i diversi Paesi della zona euro. La dicotomia tra riduzione del rischio e condivisione del rischio è in realtà artificiosa, essendo i due meccanismi complementari al punto che una maggiore fiducia nella stabilità dell’intera area Euro arginerebbe le crisi e quindi la necessità di interventi pubblici in situazioni di emergenza. Difatti, forme ci condivisione dei rischia caratterizzano tutte le cornici istituzionali delle principali economie – come Stati Uniti, Giappone e Regno Unito -.

Con l’obiettivo di riportare l’attenzione sul tema della riforma della governance economica dell’eurozona, lo IAI ha organizzato una conferenza sulla prevenzione e gestione delle crisi del debito sovrano che vedrà la partecipazione dei principali economisti coinvolti nel dibattito e di rappresentati delle istituzioni italiane, europee e del Fondo monetario internazionale.