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Verso un negoziato parallelo

Brexit: gli accordi del Regno Unito con Ue e Usa

30 Gen 2020 - Ettore Greco - Ettore Greco

Il 9 gennaio la Camera dei Comuni del Regno Unito ha approvato, in terza lettura, a grande maggioranza, il disegno di legge (Withdrawal Agreement Bill, Wab) per l’attuazione dell’accordo sulla Brexit che il primo ministro conservatore Boris Johnson aveva raggiunto con l’Ue il 17 ottobre dello scorso anno. La data di uscita del Regno Unito dall’Ue è fissata, come previsto dall’accordo con Bruxelles, al 31 gennaio.

Da quel giorno il Regno Unito entrerà in un periodo di transizione durante il quale dovrà raggiungere un accordo con l’Ue sulle nuove relazioni bilaterali in materia commerciale e sui molteplici altri settori in cui le due parti sono interessate a mantenere forme di cooperazione o integrazione.

Corsa contro il tempo
In un recente intervento, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, pur confermando che l’Ue è pronta a negoziare una partnership “ambiziosa”, ha sostenuto che è “impossibile” raggiungere un accordo commerciale completo entro la fine del 2020, come vorrebbe Johnson e come stabilisce un emendamento introdotto dal governo nel Wab dopo le elezioni dello scorso dicembre .

I 27 paesi membri dell’Ue approveranno il mandato negoziale per l’accordo di partnership con il Regno Unito solo alla fine di febbraio. I negoziati non potranno quindi cominciare prima dell’inizio di marzo. Inoltre, la ratifica del trattato richiederà almeno due-tre mesi. Nel migliore dei casi, quindi, se la scadenza del 31 dicembre non cambierà, ci saranno solo sette mesi – da marzo a settembre – per condurre in porto il negoziato.

Nonostante l’accordo per l’uscita e la sua ormai scontata approvazione da parte dei due parlamenti (britannico ed europeo), permane dunque il rischio che, trascorso il periodo di transizione, si verifichi una frattura traumatica. È lo scenario del ‘baratro‘ che viene costantemente evocato dai critici di Johnson. In caso di una mancata intesa sulla partnership, i rapporti commerciali bilaterali sarebbero regolati in base alle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), di fatto una situazione identica a quella che ci sarebbe stata senza un accordo sul ritiro.

Un accordo difficile
Johnson ha dichiarato di volere un accordo di libero scambio come quello che l’Ue ha stipulato con il Canada, ma “senza allineamento politico”: una formula vaga che lascia aperte varie opzioni. Il premier britannico esclude in ogni caso una partnership fondata su una stretta integrazione normativa perché vuole garantire al Regno Unito la più ampia flessibilità di decisione sulle proprie regole interne e al contempo la libertà di negoziare, senza i vincoli normativi dell’Ue, altri accordi di libero scambio con Paesi, come Usa, Australia e Nuova Zelanda, con cui punta a rafforzare l’integrazione economica.

L’Ue, dal canto suo, pone come condizione per l’eliminazione o la riduzione di tariffe e quote il raggiungimento di un accordo anche su regole comuni in materie come la protezione dell’ambiente, gli aiuti di Stato e i diritti dei lavoratori. L’Unione si è dichiarata disponibile a un accordo ad ampio spettro, che copra un ambito il più largo possibile di settori, ma a patto che siano garantite condizioni di parità, che Londra, in altri termini, non acquisisca, una volta non più vincolata alle regole Ue, un vantaggio competitivo.

Il negoziato Regno Unito-Usa
Il governo britannico dovrà decidere se aprire contemporaneamente – dopo il 31 gennaio – negoziati per un trattato di libero scambio con gli Usa. L’Amministrazione Trump ha non solo fortemente sostenuto la prospettiva della Brexit, ma anche apertamente incoraggiato prima May e poi Johnson ad adottare una posizione negoziale dura nei confronti dell’Ue e a non escludere la possibilità di un’uscita senza accordo. Ora la Casa Bianca guarda al negoziato commerciale con il governo britannico come un’opportunità per inserire un cuneo nei rapporti tra Londra e Bruxelles.

Trump ha inoltre chiarito che non firmerà alcun accordo commerciale con Londra se quest’ultima non rinuncerà al piano di tassare i profitti dei giganti americani di internet, come Facebook, Google e Amazon. Durante la campagna elettorale Johnson si è impegnato a introdurre questa tassa, che è attualmente previsto entri in vigore nell’aprile 2020.

In realtà, sono molti gli ostacoli che si possono frapporre a un accordo tra Londra e Washington. Va ricordato che tra il 2013 e il 2016 gli Usa e l’Ue condussero una trattativa per un accordo bilaterale per la liberalizzazione ad ampio spettro del commercio e degli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip).

Forti contrasti potrebbero sorgere riguardo alle merci di origine animale e, in genere, ai prodotti alimentari. Gli Usa vorrebbero che prodotti come i bovini trattati con gli ormoni, i polli al cloro e il cibo geneticamente modificato avessero accesso al mercato britannico, ma all’interno del Regno Unito potrebbero manifestarsi considerevoli resistenze a questo aspetto della liberalizzazione commerciale. Né, se Londra aprisse il suo mercato a tali prodotti, le conseguenze per i rapporti con l’Ue sarebbero irrilevanti. Bruxelles potrebbe decidere di adottare una posizione più restrittiva nell’interscambio con Londra per timore che questi prodotti di origine americana banditi dal suo mercato possano avervi surrettiziamente accesso.

Un altro settore su cui si è sviluppata un’accesa polemica politica, è quello farmaceutico. I laburisti accusano il governo Johnson di voler “svendere” il sistema sanitario nazionale agli americani. E’ stato il loro cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. Washington vorrebbe in effetti un accesso di mercato più libero per i suoi prodotti farmaceutici come parte della liberalizzazione commerciale. Nello specifico, Londra dovrebbe concedere brevetti di maggior durata e rinunciare alla regolazione dei prezzi. Il timore è che ciò porti a un aumento dei prezzi – alcune medicine di largo consumo arrivano a costare negli Usa anche tre volte di più – a scapito, in particolare delle fasce più svantaggiate della popolazione.

Questi esempi evidenziano come il negoziato con gli Usa potrebbe incagliarsi in vari settori, dando origine a contese politiche interne di forte impatto sull’opinione pubblica (se in gioco ci fosse, per esempio, il futuro del sistema sanitario nazionale). Se i paletti che intende fissare l’Ue potrebbero risultare troppo stringenti a un governo che con la Brexit mira a recuperare spazi di sovranità, la liberalizzazione commerciale a cui puntano gli Usa potrebbe, d’altra parte, incontrare una forte opposizione per le sue ricadute in materia non solo sanitaria, ma anche ambientale, di difesa dei consumatori e dei diritti dei lavoratori. In ogni caso, anche nel caso che i due negoziati vengano condotti in parallelo, difficilmente Londra potrà sottrarsi a una scelta tra il modello europeo e quello americano.

L’articolo è estratto da un testo più ampio, pubblicato sul sito dell’Istituto Affari Internazionali .