IAI
9- UNA STRATEGIA PER LE MISSIONI INTERNAZIONALI

Difesa: calmierare l’ossessione del 2%

18 Feb 2020 - Dario Cristiani - Dario Cristiani

A margine del bilaterale di fine gennaio 2020 tra il segretario alla Difesa, Mark T. Esper, e il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, l’americano ha definito l’Italia “un ottimo partner”, aggiungendo: “Vorrei che più alleati e partner svolgessero il ruolo espansivo (expansive role) che l’Italia ha svolto come membro della Nato”. Esper si riferiva al ruolo, quantitativo e qualitativo, che l’Italia gioca nelle missioni internazionali.

Una politica expansive ed expensive
Questo riferimento esplicito offre due elementi interessanti: in primis, il contesto politico-concettuale in cui è stato espresso; in secundis, un allineamento delle narrative americane ed italiane su una valutazione non meramente quantitativ0-fiscale, ma più bilanciata, degli sforzi italiani sulla difesa. In tal senso, le missioni internazionali diventano un fattore calmierante rispetto ai desiderata americani sulla necessità di aumentare le spese militari, trasformando il totem del 2% da chimera a realtà in tempi il più rapidi possibili.

Rispetto al primo elemento, Esper ha lodato l’“expansive role” dell’Italia dopo aver fatto notare che il raggiungimento del 2% resta un obiettivo fondamentale, auspicando altresì che l’Italia possa offrire ulteriori risorse alle missioni in cui è impegnata. Si potrebbe dire che Esper vorrebbe un ruolo italiano non solo “expansive” ma anche più “expensive”: il raggiungimento del 2% del Pil di spesa sulla Difesa, nell’ottica americana, resta imprescindibile.

F-35, 2% e Strade Sicure
Tale imprescindibilità va letta in un contesto di rinnovato slancio delle relazioni italo-americane sulla difesa basato su tre cardini. Il primo riguarda la decisione del nuovo governo di muoversi senza tentennamenti sul programma degli F35. Questa presa di posizione ha avuto un impatto estremamente significativo nelle percezioni americane legate all’Italia, visto che negli ultimi anni questo era un punto di latente sfiducia.

Il secondo è il tentativo di Guerini di aumentare le spese militari, nonostante la chiara ammissione dell’impossibilità di raggiungere il 2% entro il 2024, come promesso dall’Italia al Summit Nato in Galles del 2014. Portare la spesa militare senza scorciatoie contabili – ad esempio, contando ricerca e cyber – quanto meno vicino alla media dei partner europei, sarebbe per Washington un risultato certamente sub-ottimale, però quanto meno un inizio e, soprattutto, un cambiamento di logica rispetto ai passi del precedente governo giallo-verde, in tal senso percepito come deficitario.

Da ultimo, è stata gradita l’idea espressa da Guerini di limitare l’impegno delle forze armate nei gravosi compiti di sicurezza interna – l’operazione Strade Sicure, ad esempio. Per gli Stati Uniti, ciò significa un potenziale aumento della futura disponibilità italiana nelle operazioni internazionali.

L’importanza italiana per Washington
È qui che il secondo elemento emerge nella sua importanza quasi olistica rispetto all’intero ambito delle relazioni tra Italia e Stati Uniti. È interessante notare come la retorica degli Stati Uniti sulle relazioni con l’Italia nell’ambito della difesa sia lievemente cambiata. Le parole ricordate in precedenza di Esper, in tal senso, hanno riecheggiato quelle del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Durante la sua visita a Washington nell’ottobre scorso, il capo dello Stato aveva rimarcato con forza l’importanza dell’Italia come partner strategico, in qualità di “quinto contributore” e di “secondo contributore di militari nelle missioni” dell’Alleanza, al di là delle diatribe contabili sul 2%.

A completare questo quadro dove l’elemento qualitativo della presenza italiana nelle missioni internazionali bilancia aspetti finanziari ben più deficitari, vi è la presenza di determinati asset. Uno di essi è, ad esempio, il ruolo dei Carabinieri come forza ibrida e dal background unico, diverso dalle forze militari classiche. Questa peculiarità rende i Carabinieri molto richiesti, soprattutto laddove vi sia bisogno di forze versatili che possano aiutare sia nel controllo del territorio che nella formazione dei propri agenti. Per gli Stati Uniti, il ruolo che i Carabinieri giocano in molte missioni, in Iraq e Afghanistan ad esempio, è fondamentale, proprio per queste capacità specifiche che le forze americane non hanno.

Tra nuovi dossier e vecchi teatri
Nella discussione sui futuri impegni italiani nelle missioni internazionali, vi dovrà essere un’analisi molto rigorosa di come queste missioni possano essere funzionali rispetto agli interessi nazionali. In tal senso, l’impegno in determinati teatri, come ad esempio l’Afghanistan, dovrà essere necessariamente riletto anche in un’ottica non necessariamente allineata con le priorità americane, visto il contesto molto diverso rispetto a quando questo impegno fu preso.

Però, in tale dibattito, si dovrà tenere conto di un elemento importante: il ruolo qualitativamente significativo nelle missioni internazionali serve non solo allo status internazionale del Paese ma, nel caso delle relazioni con gli Stati Uniti, anche a ridurre la pressione su altri dossier, come per esempio quello strutturalmente spinoso delle spese militari.