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ECONOMIA. PARLA LORENZO BINI SMAGHI

“L’effetto del coronavirus sarà molto più grave di quanto stimato”

16 Mar 2020 - Francesco De Leo - Francesco De Leo

Lorenzo Bini Smaghi – economista, presidente di Societé Generale, già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea (Bce) dal giugno 2005 al novembre 2011 – conversa con AffarInternazionali sull’impatto della pandemia di Covid-19 sull’economia internazionale.

 

 

Presidente, che opinione s’è fatto sulla reazione della comunità internazionale al coronavirus e che ricadute economiche immagina?
“L’impressione di questi giorni dovuta all’evoluzione del contagio da coronavirus e alla reazione dei mercati è che sostanzialmente si stia imparando ad affrontare un fattore di contagio nuovo, prima al livello di singolo Paese, poi gradualmente a livello europeo. Si sta imparando anche ad adottare nuove misure, che sono sempre più dure. La possibilità che la popolazione accetti queste misure dipende dalla consapevolezza della gravità della situazione. In Italia non avremmo potuto adottare provvedimenti così stringenti, come fatto recentemente, soltanto uno o due mesi fa. C’è voluta la consapevolezza da parte dei cittadini che la situazione fosse molto grave e che gli spazi a disposizione delle strutture ospedaliere non fossero sufficienti ad affrontare tale crisi. La situazione è diversa da Paese a Paese e l’accettazione da parte dei cittadini di misure sempre più stringenti dipende dal fatto che si rendono conto, anche sulla loro pelle, del cambiamento della situazione. Dunque questo spiega perché Paesi come Francia e Germania stiano adottando misure con ritardo. Tutto questo significa che l’impatto economico sarà ritardato rispetto ad altri Stati e andrà poi ad aggravarsi. Il sommarsi di chiusure di fabbriche gradualmente in tutta Europa porterà a un impatto negativo in tempi diversi su tutti i Paesi e quindi l’effetto economico sarà molto più grave di quello che avevamo stimato all’inizio. A questo si aggiunge il fatto che anche gli Stati Uniti si stanno rendendo conto della realtà della situazione e sono la principale economia globale. Abbiamo difficoltà a stimare l’impatto complessivo, ma temo che si rivelerà molto più grave di quanto si stimasse qualche giorno o qualche settimana fa”.

Che conseguenze potrebbe generare quanto dice sulla situazione economica della Cina?
“È interessante che Pechino abbia adottato restrizioni molto severe, senza averlo chiesto alla popolazione, e che queste misure sembrino aver ottenuto un successo nel contenere e ridurre il contagio. La Cina sicuramente si trova in posizione avanzata nel tempo rispetto alla possibilità di riaprire le fabbriche e di ripartire con il commercio. Il problema è però che gran parte del suo mercato si trova in Occidente. Dunque, riaprono le fabbriche rimettendosi a produrre proprio quando l’Occidente è in frenata e i consumi si riducono. Nonostante, dunque, l’anticipo della Cina nell’affrontare la crisi, si troverà colpita dalla chiusura dei mercati più ricchi, cioè gli Stati Uniti e l’Europa, e questo finirà per creare un problema non irrilevante per la Repubblica popolare“.

Tornando all’Europa si aspettava una risposta più unitaria e omogenea all’emergenza sanitaria?
“Il modo in cui ha risposto l’Italia, accentuando gradualmente la restrizione imposta sulla mobilità delle persone, man mano che ci si rendeva conto della gravità della situazione, era difficile da immaginare, anche dal punto di vista politico, con mesi di anticipo. Questo spiega perché altri Paesi hanno guardato all’Italia, prima di adottare tali misure, considerando il numero di contagi molto più basso e la difficoltà della scelta dal punto di vista politico. Del resto abbiamo dei sistemi democratici nei quali i governi hanno difficoltà a imporre misure molto forti sulle libertà personali prima che i cittadini si rendano conto sostanzialmente della criticità presente. A mio avviso, era difficile pensare a un isolamento ex ante che avesse dato restrizioni molto forti in realtà dove non c’era nessun contagio. Come si è visto, anche l’estensione della zona rossa al sud dell’Italia si è decisa solo dopo la partenza di migliaia di persone dal nord e con il conseguente rischio di contagio aumentato fortemente”.

Le recenti dichiarazioni sull’Italia della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aprono ad ampi margini di manovra e flessibilità, a modifiche sul patto di stabilità, a garanzie comunitarie per le imprese in difficoltà. Questo aiuto come andrebbe utilizzato a suo avviso da parte dell’Italia?
“Innanzitutto non va dimenticato che “l’aiuto” da Bruxelles, di cui si parla, riguarda i nostri soldi, le nostre tasse future, che ci sarà concesso di anticipare indebitandoci sui mercati per poter intervenire subito a sostegno dell’economia. Sono soldi degli italiani, insomma, e andranno utilizzati con attenzione. Ripeto… questo non va dimenticato. È vero che per indebitarsi bisogna sempre stare all’interno di certi parametri, che le regole europee saranno interpretate in modo molto flessibile, ma ricordiamoci sempre che sono soldi nostri, non regalati. “Aiuto” è una parola un po’ forzata. Alla fine dovremo andare a emettere titoli di Stato sul mercato, dobbiamo venderli a investitori – in parte italiani – che un giorno dovranno vendere tali titoli e utilizzare i proventi per le loro pensioni. Dunque, è importante che lo Stato come debitore rimanga molto credibile. Bisogna stare attenti a prospettare numeri di deficit, di debito, che siano basati su analisi coerenti e rigorose, come mi sembrano quelle presentate dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Dall’Europa non c’è alcuno ostacolo, ma disponibilità ad aiutarci, o meglio, a consentirci di fare ciò che crediamo, ma alla fine sono soldi italiani e non vanno spesi male”.

Considerata la nostra situazione debitoria, esiste qualcosa che considera fattibile e conveniente?
“La Bce è intervenuta a sostegno delle iniziative nazionali ed europee e le banche devono fare la loro parte per continuare a mantenere le linee di credito nei confronti soprattutto delle piccole e medie e imprese. Bisogna anche pensare al “dopo”, però. Intendo dire a quando ripartirà l’economia. Va fatto in modo che l’Italia resti un Paese attrattivo per riaprire le fabbriche, per continuare a investire. Non bisogna trascurare questo tempo, utilizzandolo anche pensando anche a come intervenire sull’economia quando ci sarà una ripresa mondiale, facendo in modo che l’Italia possa competere nella fase di rimbalzo, che speriamo avvenga già nella seconda metà dell’anno. Così vanno superati tutti quei lacci e lacciuoli che esistono, come nelle infrastrutture, che saranno una parte importante di un pacchetto europeo che si sta designando. Tutto ciò richiede flessibilità nei campi della burocrazia e nella giustizia. Il fatto di chiudere il Parlamento, per esempio, che suggerisce una “assenza legislativa”, mi preoccupa molto, perché vuol dire che tutti i problemi dell’economia italiana prima della crisi rimarranno immutati anche nel momento di superarla”.

In questi giorni è stato colpito il cuore pulsante del Paese dal punto di vista economico: la Lombardia. Quanto può tenere il sistema? Quanto è preoccupato?
“Come le dicevo, dipende tutto dalla durata della crisi. Il fatto che alcuni Paesi non siano ancora entrati in crisi e ci entreranno invece tra qualche giorno, significa che il periodo nel quale dovranno restare chiusi negozi e fabbriche sarà abbastanza lungo, fino a due, tre mesi. Un po’ come successo in Cina. Questo è preoccupante perché ci saranno persone senza stipendio, macchinari non pagati… insomma una serie di problematiche da affrontare. Servono misure che aiutino chi è in difficoltà e vanno pensate e attuate in modo che al momento del rilancio, ci sia la possibilità di riprendere senza troppi danni, senza che troppe aziende siano costrette alla chiusura. È importante, in questo senso, che ci siano meccanismi che facciano fronte alle difficoltà delle aziende per permetterle di pagare mutui e stipendi”.