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L'agenda della nuova amministrazione

Non solo Pechino e Pyongyang: un nuovo pivot asiatico per Biden?

30 Nov 2020 - Lorenzo Mariani - Lorenzo Mariani

Quando nel 2016 Donald Trump si insediò alla Casa Bianca, il monito del presidente uscente Barack Obama fu quello di preparasi a gestire i diversi fronti caldi che si andavano aprendo in Asia. A quattro anni di distanza, lo stesso avviso torna ad essere drammaticamente valido anche per il nuovo vincitore delle elezioni Joe Biden, il quale tuttavia si trova dover fare i conti non solo con uno scenario internazionale profondamente cambiato ma anche con una fragile situazione in politica interna.

In Asia, per quanto riguarda sia i rapporti con gli alleati che quelli con gli antagonisti, Biden si troverà a dover operare una scelta strategica radicale. Dovrà innanzitutto ricostruire l’immagine internazionale degli Usa dopo Trump, operazione tutt’altro che facile. Nella regione, il lascito dell’ex presidente è particolarmente marcato – dallo scontro a tutto campo con la Cina, all’approccio eclettico nella vicenda nordcoreana; dalla gestione ambigua dei rapporti con alleati come il Giappone e la Corea del Sud, fino al disimpegno nei progetti multilaterali regionali.

Tuttavia, per quanto diverso potrà essere il suo approccio, su alcuni dossier non possiamo aspettarci un cambiamento di rotta così drastico. Come è stato detto più volte, soprattutto in relazione alle tensioni con la Cina, Trump è stato un propellente che ha accelerato lo scoppio di tensioni latenti che con ogni probabilità sarebbero emerse a prescindere dalle scelte dell’ormai ex presidente.

L’Asia nel dopo Trump
La tentazione naturale – già anticipata da alcuni analisti – potrebbe essere per Biden quella di recuperare alcuni degli assunti della strategia di Obama per l’Asia. Questa però si era già  dimostrata all’epoca non solo in netto ritardo con i tempi ma anche inefficace, essendo di fatto basata su alcuni convinzioni errate – basti pensare alla pazienza strategica nei confronti della Corea del Nord e alla convinzione di un imminente collasso del regime di Pyongyang.

La questione cinese e quella nordcoreana offrono due esempi perfetti per comprendere quanto sarà difficile per Biden riequilibrare la posizione statunitense nel breve periodo. Riguardo la Cina, Biden dovrà cercare una de-escalation nello scontro con Pechino senza però dare l’impressione di voler cedere terreno di fronte a quello che oggi rappresenta il principale competitor degli Usa in ambito internazionale.

Sul fronte nordcoreano invece, il nuovo presidente dovrà tentare di porre fine – come per altro già ha annunciato – alla diplomazia non convenzionale di Trump, senza fornire a Pyongyang la scusa per tornare alla sua strategia della tensione.

Alleanze sì, ma senza fronti anti-Cina
Proprio a causa di questa posizione di partenza piuttosto delicata, nel corso della campagna elettorale è cresciuta la consapevolezza all’interno dei democratici dell’importanza ricoperta da altri attori regionali quali Corea del Sud, Giappone, India e i Paesi (democratici) dell’Asean. Ed è proprio il loro appoggio potrebbe fornire a Biden un’alternativa per uscire dall’impasse. Tuttavia, anche in questo caso, gli ostacoli non saranno pochi.

In primo luogo, qualsiasi tentativo di ricucire una rete di rapporti solidi con i propri alleati in Asia non potrà avvenire senza prima un chiaro riposizionamento della politica estera statunitense a sostegno del sistema internazionale e del multilateralismo. Obiettivo da raggiungere evitando di entrare attivamente in nessuno delle più o meno neonate realtà multinazionali dell’area. Come avvenuto in passato tale opzione incontrerebbe delle notevoli resistenze nel dibattito pubblico statunitense.

In secondo luogo, vi sono una serie di problemi con determinati alleati che potrebbero pregiudicare la riuscita di una tale operazione. Le continue tensioni tra Corea del Sud e Giappone e la svolta semi-autoritaria dell’India di Narendra Modi sono solo due esempi di come gli Usa dovranno sporcarsi le mani prima di poter avviare un dialogo costruttivo con i propri alleati.

Vi è poi una terza questione, forse la più delicata. Ricostruire i rapporti con gli alleati sarà fondamentale per Washington ma gli Usa dovranno resistere alla tentazione di creare un’alleanza in funzione anticinese, o possa anche essere solo percepita come tale. Nonostante Pechino sia una preoccupazione per quasi tutti i Paesi della regione, e non solo, come dimostrano già molti studi, nessuno degli alleati regionali si esporrebbe mai in tale modo. Non solo per l’importanza che l’economia cinese riveste per l’area, ma anche perché la presidenza Trump ha fortemente minato l’affidabilità degli Usa soprattutto in materia di rispetto degli accordi internazionali.

Un alleato per Biden
Nel calibrare la sua strategia in Asia, Biden potrebbe avvalersi anche del sostegno dell’Unione europea, la quale sembra aver deciso di investire maggiormente in un suo possibile rilancio nell’area Indo-Pacifica.

Regno Unito, Francia e Germania si sono già portate avanti su questo fronte rilasciando nel corso degli ultimi anni documenti programmatici che parlano esplicitamente di un riposizionamento militare e di una nuova strategia per l’intensificazione dei rapporti commerciali con i paesi del sud-est asiatico.

Seppur mai esplicitato, lo scopo di questo riposizionamento è quello di dare una risposta concreta all’assertività marittima della Cina nella regione e alla necessità di alleviare la dipendenza economica da Pechino rafforzando la propria presenza in altri mercati. Tale riposizionamento va inoltre inquadrato all’interno di un radicale ripensamento di Bruxelles nei suoi rapporti con la Cina.