L’Australia e le implicazioni internazionali del partenariato Aukus
SYDNEY – A distanza di qualche giorno dall’annuncio della creazione di Aukus è possibile ragionare a mente fredda sul ruolo dell’Australia e su alcune delle molte (troppe, per poter essere affrontate in un’unica sede) implicazioni internazionali di quanto annunciato. Intanto, è bene cominciare con una definizione precisa di quanto si sta discutendo: Aukus non è un’alleanza, ma un partenariato strategico tra tre Paesi – Australia, Uk, Usa – uniti dalla rete di alleanze e allineamenti strategici imperniata su Washington (Anzus, Five Eyes, Quad, alleanze bilaterali, ed altre ancora).
Al contrario di Washington e Londra, tuttavia, l’approccio di politica estera di Canberra non è dettato da ambizioni di natura geopolitica, quanto invece dalla ragione opposta: un sentimento di insicurezza strategica radicato profondamente nella storia australiana, il quale ha spinto il Paese a legarsi sempre più strettamente con gli Stati Uniti.
Come spiegato recentemente altrove, la combinazione di un crescente sentimento anti-cinese in Australia, il rinnovato contenimento della Cina da parte degli Usa e dei suoi alleati nella regione, e la presenza a Canberra di un governo marcatamente conservatore, hanno costituto l’insieme di ingredienti ideale per la creazione di Aukus. La prima e più immediata azione della nuova partnership strategica è quella di dotare l’Australia di almeno 8 sottomarini a propulsione nucleare (Ssn), accettando il costo della risoluzione del contratto con la Francia (una penale di 140-400 milioni di dollari australiani, oltre ai 2,5 miliardi spesi sinora).
Il nodo sottomarini
Gli scenari possibili sono sostanzialmente tre: un sottomarino basato sui classe Virginia statunitensi, una combinazione tra i classe Virginia e i classe Astute del Regno Unito, o un progetto nuovo basato su specifiche australiane, in ogni caso con componenti statunitensi e britanniche.
È molto improbabile che i nuovi sottomarini australiani saranno dotati di armi atomiche (il governo lo esclude categoricamente), questo sia in virtù della partecipazione di Canberra al trattato di non proliferazione nucleare (Npt), sia perché sottomarini capaci di lanciare attacchi nucleari hanno diverse caratteristiche strutturali. Uno dei nodi cruciali è la tempistica: le previsioni più favorevoli stimano circa 15 anni di attesa, ma molti ritengono che saranno necessari 20 anni. La prima possibilità è in linea con l’offerta francese (al netto dei suoi ritardi), ma la seconda lascia scoperti anni delicati, poiché proprio in quel frangente ci si attende una sfida più netta di Pechino per Washington.
Nel frattempo, Canberra aggiornerà gli attuali sottomarini a propulsione convenzionale della classe Collins, per un costo di circa 6 miliardi di dollari australiani. Detto ciò, Aukus prevede anche altri sviluppi che sono stati finora sottovalutati. Tra quelli più importanti, vi sono un aumento delle capacità australiane di attacco a lunga distanza, nuovi progetti di collaborazione per la sicurezza marittima, le tecnologie quantistiche e l’intelligenza artificiale, oltre ad un incremento della capacità cibernetiche in sinergia con Washington e Londra.
Le reazioni nell’Indo-Pacifico…
Come è naturale attendersi da una regione che è divenuta l’epicentro delle frizioni geopolitiche e geoeconomiche globali, i Paesi dell’Indo-Pacifico hanno reagito in maniera diversa fra loro. Alleati storici di Stati Uniti e Australia come il Giappone, ma anche partner più recenti come l’India, hanno accolto con favore l’annuncio di Aukus. La Cina ha criticato la “mentalità da Guerra Fredda” dei tre Paesi, prospettato proliferazione nucleare su scala globale, e minacciato l’Australia tramite diversi media controllati da Pechino.
Le nazioni dell’Asean – tra cui l’Indonesia, che ne è il leader di fatto – hanno espresso sorpresa e rammarico per non essere state consultate prima. Pochi giorni fa, infine, il ministro degli Esteri della Malesia ha dichiarato che discuterà gli attuali sviluppi con la sua controparte cinese. In poche parole, l’Australia corre il rischio di alienare ulteriormente partner economici e strategici di crescente rilevanza, e dunque non sorprende che diversi analisti raccomandino di rinsaldare i rapporti regionali (e rassicurare circa gli obietti strategici di Aukus) il prima possibile.
… e quelle dell’Europa
Non tutti hanno notato il tempismo dell’annuncio di Aukus: rivelato lo stesso giorno in cui l’Unione europea pubblicava la propria strategia per l’Indo-Pacifico, la quale è finita inevitabilmente in secondo piano. Bruxelles ha mantenuto toni neutrali sulla vicenda, nonostante un evidente fastidio espresso a porte chiuse. Parigi, d’altro canto, non ha fatto attendere la propria reazione, interpretando l’accaduto come un’offesa ad un alleato prezioso nell’Indo-Pacifico e richiamando i propri ambasciatori in Australia e Stati Uniti.
Si parla ora di futuri problemi per l’accordo di libero scambio tra Ue e Australia in corso di preparazione, e c’è chi paventa addirittura una ridiscussione dell’intero progetto. Se questo è molto improbabile, ci si può però attendere un ritardo nella sua approvazione definitiva dovuto a probabili resistenze della Francia – che il 1° gennaio assume la presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue -: Parigi difficilmente offrirà il proprio aiuto per facilitare i negoziati.
Si è anche ipotizzato un beneficio indiretto per l’Italia, dal momento che la sua consistente industria della difesa è in una posizione privilegiata per sfruttare le divisioni tra Francia e Regno Unito, e continuare ad esportare a partner vecchi e nuovi. Per quanto questo sia vero, tuttavia, nel lungo termine un “Occidente” diviso – con anglosfera da un lato e Unione europea dall’altro – sarà meno efficace e stabile, e questa è una prospettiva che non può non fare gola a Pechino.
Foto di copertina EPA/RICHARD WAINWRIGHT