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65 anni fa l’Italia rinunciava a una parte della sua “sovranità” per aderire all’Onu

31 Dic 2020 - Fabiana Luca - Fabiana Luca

Ottobre 1945. Sulle ceneri della Seconda Guerra mondiale nasceva l’Organizzazione delle Nazioni Unite, uno dei progetti di pace forse più ambiziosi della società contemporanea.

L’Onu si costituiva 75 anni fa, come risultato dei lavori della Conferenza di San Francisco, organizzata tra l’aprile e il giugno di quell’anno, a cui parteciparono cinquanta Paesi senza che l’Italia fosse invitata a prenderne parte. Sul Paese gravava il peso dell’alleanza in guerra con le potenze dell’Asse, rinnegata solo due anni prima della fine del conflitto.

Iniziava così il travagliato percorso che portò l’Italia ad aderire alle Nazioni Unite solo il 14 dicembre 1955, dieci anni dopo la sua nascita.

Articolo 11 e ripudio della guerra
Durante i lavori preparatori alla Costituzione del 1948, in un risorto clima democratico anche in Italia, i costituenti lavorarono a lungo per riscattare il Paese dal recente passato fascista e dare un nuovo indirizzo democratico anche alla sua politica estera.

Nel testo della Carta si inserì a questo scopo l’articolo 11, pensato ed elaborato proprio per favorire l’ingresso dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le altre Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Onu chiedeva, infatti, come requisito per l’adesione la dichiarazione di essere Paesi “amanti della pace” e dunque molte delle costituzioni redatte in Europa dopo la fine della Guerra hanno dedicato uno spazio a ribadire il distacco dal nazionalismo e la volontà di riaprirsi alla cooperazione con le altre Nazioni. Anche nella Carta francese del 1946 si legge che “con riserva di reciprocità, la Francia consente alle limitazioni di sovranità necessarie per l’organizzazione e la difesa della pace”

Con l’articolo 11, anche l’Italia ha accettato di rinunciare a una parte della sua sovranità per aderire a una comunità internazionale ispirata al valore della pace. Il richiamo all’Onu non è esplicito, ma comunque evidente. Nonostante le aspettative, però, l’impegno a proscrivere la guerra non bastò e la condizione di Paese ex-nemico durante la guerra pesò al punto sull’Italia da impedirne la partecipazione ai lavori della Conferenza di San Francisco, dove si gettarono le fondamenta per un nuovo assetto politico mondiale.

Veti incrociati e ammissione “in pacchetto”
L’assenza a San Francisco non fu cosa di poco conto. L’ammissione all’Onu si considerava fondamentale per permettere il reinserimento dell’Italia nella comunità internazionale dei Paesi democratici. Ma lo era anche perché si sperava che l’Onu potesse attenuare le condizioni più punitive del Trattato di pace che l’Italia era stata costretta a firmare alla fine della guerra.

A guidare la comunità internazionale erano Truman, Stalin e Churchill, che in un primo tempo hanno sostenuto con unità la domanda di ammissione dell’Italia. Le cose cambiarono in fretta, complice il deteriorarsi dei rapporti tra Urss e Stati Uniti che portò le due potenze ad avere pareri inconciliabili sull’ammissione dei Paesi ex nemici al consesso delle Nazioni Unite. Nei fatti, gli Usa sostenevano che Ungheria, Bulgaria e Romania non avessero i requisiti necessari per aderire all’Onu, mentre l’Urss non era disposta ad avallare l’ammissione dell’Italia senza aver ottenuto in cambio l’ingresso dei suoi Stati satelliti.

L’1 ottobre 1947 arrivò il primo di una serie di veti dell’Unione Sovietica – in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza – sull’ammissione dell’Italia. Veto che si ripresentò nell’aprile del 1948 e a settembre del ’49, congelando di fatto per un decennio intero le sue aspirazioni di aderire all’organismo internazionale promotore di pace.

Nulla di più che una questione di veti incrociati tra sovietici e statunitensi, risultato di un rapporto diplomatico difficile tra le due potenze sfociato nella tensione della guerra fredda e che impedì quasi totalmente tra 1947 e 1955 che ci fossero nuove ammissioni all’Onu. Si parlò quindi di ammissione in blocco o a pacchetto, ovvero l’una non poteva avvenire senza l’altra. Testimonianza della quasi totale inazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu – in cui sedevano sia Urss che Usa con potere di veto – nei suoi primi decenni di vita a causa del contrasto che si consolidava tra est e ovest e che si rifletteva anche sull’equilibrio delle relazioni internazionali.

La situazione si normalizzò solo dopo dieci anni di travagliato percorso diplomatico, quando dopo la morte di Stalin si entrava in una fase di distensione tra Urss e Usa, nota come “coesistenza competitiva”.

L’adesione dell’Italia arrivò nel 1955 insieme a quella di altri 15 Stati, tra cui i satelliti Urss, togliendo ogni dubbio di una specialità del caso italiano. Ma nonostante il ritardo nell’adesione all’Onu, il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale aveva iniziato a modificarsi già all’indomani della guerra, muovendo i primi passi verso l’integrazione europea e contribuendo nel 1949 alla nascita dell’Alleanza atlantica.

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