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I nodi standard e pesca (Prima parte)

Brexit Deal: storia di un lungo negoziato

28 Dic 2020 - Marinella Neri Gualdesi - Marinella Neri Gualdesi

Le vicissitudini della Brexit, dominate dal dilemma “deal or no deal“, per quanto meno nobile di quello pensato dal drammaturgo inglese, potrebbero richiamare sia una tragedia di William Shakespeare, sia una partita di poker, in cui i giocatori aspettano l’ultimo momento per calare tutte le carte che hanno in mano.

La strada dell’accordo è stata resa più complicata dal tempo limitato previsto per il negoziato, iniziato a marzo, dato che il Regno Unito ha escluso di prorogare il periodo di transizione oltre il 31 dicembre 2020. Saltati ripetuti ultimatum si è proceduto con trattative a oltranza, onde evitare un fallimento diplomatico per entrambe le parti.

Provocazioni britanniche
Il Regno Unito ha messo in atto una tattica negoziale piuttosto aggressiva, probabilmente puntando anche a incrinare la compattezza dei Ventisette e sperando di alimentarne le divisioni, come aveva rivelato appena qualche giorno fa la proposta da parte del premier britannico Boris Johnson di una discussione separata con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, respinta dai due leader.

Né sono mancate le provocazioni. Dopo avere sottoscritto nell’accordo di recesso l’impegno a non creare un confine fisico tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, accettando che il confine commerciale fosse nel Mare d’Irlanda, il governo di Londra violando un trattato da lui stesso sottoscritto ha introdotto nell’Internal Market Bill una disposizione che sconfessava l’impegno preso. Salvo poi fare marcia indietro e rendere possibile un compromesso, accettando che vi siano controlli nei porti di quattro città dell’Irlanda del Nord, per evitare che attraverso l’isola entrino merci non conformi agli standard Ue nel mercato dell’Unione.

Contrariamente a quanto auspicato Oltremanica, l’Ue ha mantenuto durante le estenuanti trattative con Londra una posizione unitaria e ha dato prova di un’insolita determinazione nel difendere le proprie posizioni.

Due questioni centrali
A quattro anni dal referendum del giugno 2016, nel lungo e complesso negoziato per delineare la futura partnership tra Regno unito e Unione europea due questioni si sono rivelate centrali: l’accordo sui diritti di pesca, e le regole per governare l’accordo commerciale che dovrebbe consentire alla Gran Bretagna l’accesso al mercato unico.

La questione della pesca riveste senz’altro un valore simbolico di recupero di sovranità sulle proprie acque territoriali, e proprio per questo motivo è stata enfatizzata dal governo di Londra con una forte carica retorica e orgoglio nazionale.

I pescherecci che sventolavano la Union Jack lungo il Tamigi, sostenendo la campagna del Leave, hanno probabilmente contribuito a indirizzare in senso anti-europeo l’esito del referendum e il premier Johnson non poteva deludere le aspettative di questi elettori. Si tratta indubbiamente di un tema sensibile e i pescatori europei hanno avuto largo accesso alle acque britanniche, anche perché i pescatori inglesi hanno venduto l’80% delle loro quote.

Tuttavia, nonostante l’annuncio da parte di Londra di ricorrere alla “gunboats diplomacy” e schierare la Royal Navy per pattugliare il mare del Nord, non è la pesca la questione centrale nel negoziato, anche perché è un settore che rappresenta lo 0.1 % del Pil britannico. Con misure transitorie fino a giugno 2026, un accordo su entità e valore delle quote per i pescatori europei nelle acque britanniche è stato infine trovato.

Sono invece i numeri a mettere in luce quanto sia ben più rilevante l’accordo commerciale per un trattato di libero scambio con l’Ue: secondo dati del 2017 il commercio del Regno unito con l’Ue vale 420 miliardi di sterline, contro 91 miliardi con gli Stati uniti e 61 con la Cina.

L’Ue è sempre stata disponibile a concedere a Londra alla fine del periodo transitorio l’accesso al mercato unico con zero quote e zero tariffe, per merci conformi a appropriate regole d’origine, a condizione che il partner d’Oltremanica non adotti un atteggiamento da free-rider.

L’Ue, temendo una competizione sleale per le imprese europee, ha chiesto che il Regno Unito mantenga un allineamento con le regole europee in materia di ambiente, aiuti di Stato, norme del mercato del lavoro.

La seconda parte dell’articolo verrà pubblicato su AffarInternazionali martedì 29 dicembre 2020.