Vi racconto la mia vaccinazione anti-Covid in Israele
“Ci vacciniamo e torniamo alla vita”. Così è scritto sui braccialetti in gomma che l’infermiere regala a coloro che si sono fatti inoculare il vaccino anti-Covid in Israele. Da domenica, il braccialetto è anche sul mio polso. Non ancora cinquantenne, senza assicurazione locale, straniero: mi trovo al posto giusto nel momento giusto. Israele è il primo Paese al mondo per vaccinati, dimostrando non solo lungimiranza ma anche capacità organizzativa.
Già, perché se da un lato è vero che il governo per assicurarsi le dosi necessarie e più ha pagato anche il doppio rispetto agli altri Paesi; se è vero che l’organizzazione militare soprattutto nello stoccaggio e nella distribuzione è stata di grande aiuto; se è vero che il sistema delle mutue in Israele (benché depauperate dai diversi governi) funziona perfettamente, è anche vero che la cultura e le abitudini di questo popolo aiutano molto.
Tutti in fila con lo smartphone
Domenica mattina mi sono recato al Pais Centre, il palazzetto dello sport di Gerusalemme. Insieme a me diverse persone anziane. All’apertura delle porte, ogni anziano con il suo tesserino dell’assicurazione/mutua; senza indugi, lo introduce nella macchinetta per avere il numero di fila. Sedie, acqua, mezzi elettrici per trasportare i non deambulanti o quelli che comunque fanno difficoltà a camminare. La fila scorre molto rapida, le postazioni sono tante. Per me è un po’ più complicato: non avendo l’assicurazione locale, devono prima registrarmi. Mi danno un numero provvisorio di assicurazione che dura 3 ore. Devo telefonare ad un numero verde dove un nastro registrato in inglese mi invita a digitare le cifre del mio numero provvisorio. Appena digito il tasto cancelletto come fine del numero, un messaggio mi avvisa che la mia assicurazione temporanea è stata approvata e posso fare il vaccino.
Mi reco in uno degli stalli organizzati dove un infermiere, da un computer, recupera la mia scheda tramite il numero provvisorio di assicurazione. In inglese, mi fa l’anamnesi, alcune domande su allergie e storia clinica e poi mi chiede dove inoculare il vaccino, se a destra e sinistra. Dopo pochi minuti, ho il certificato vaccinale con il codice della dose e il foglio con l’elenco degli eventuali effetti collaterali. Mi spiega in che caso dovrei preoccuparmi e a chi rivolgermi. Mi regala il braccialetto e mi manda alla scrivania dove due impiegati mi fissano l’appuntamento per il richiamo dopo 21 giorni. Mi ha impressionato l’organizzazione, ma soprattutto la perizia con la quale gli anziani, alcuni davvero anziani, usavano schede, tessere, smartphone, per fare le pratiche per il vaccino.
Non sono io che devo chiarire che questo, grande più o meno come la Lombardia, sia un Paese all’avanguardia sui servizi, sulle tecnologie, dove con la carta di credito paghi qualsiasi cosa e la tessera dei mezzi pubblici vale su tutti i mezzi di tutto lo Stato.
Il funzionamento delle mutue
Il sistema sanitario israeliano si basa su quattro assicurazioni/mutue. Oltre Clalit, che raccoglie oltre la metà degli assicurati, ci sono Maccabi, Meuhedet e Leumit, in competizione tra loro, ma tutte rigorosamente non-profit e tutte finanziate dallo Stato in relazione al numero degli iscritti, attraverso un sistema basato sulla quota capitaria, aggiustata per età e per condizione di salute degli assistiti. I cittadini hanno libertà di scelta tra le quattro mutue e l’iscrizione prescinde dalla condizione lavorativa.
In questo modo, Israele riesce ad offrire uno standard elevato di assistenza con costi ridotti per lo Stato. Israele ha garantito il vaccino a tutti i suoi abitanti e agli stranieri (in questi giorni sta regolamentando l’inoculazione del vaccino agli stranieri che non hanno la mutua locale, come me, o come le migliaia di religiosi cattolici presenti).Ciò significa che il vaccino è stato offerto a tutti, indipendentemente dalla posizione, dall’etnia o dalla religione.

Il nodo palestinesi
Vaccinazioni sono state offerte anche ai palestinesi di Gerusalemme Est, che non sono cittadini israeliani ma con passaporto palestinese o giordano (per la maggior parte) che risiedono nella Città Santa con un permesso. Proprio gli arabi, come gli ebrei ortodossi, sono quelli che hanno risposto meno alla campagna vaccinale. Per ora sono esclusi dalla vaccinazione i palestinesi.
La cosa ha scatenato molte polemiche ma, questa volta, Israele, che si è macchiato e continua a macchiarsi di molti episodi di discriminazione nei confronti dei palestinesi, non ha torto. Dal punto di vista umanitario, il vaccino va dato ai palestinesi. Subito. Ma la questione è più complessa e riguarda il complicato assetto di questa terra. Nel 1993 furono firmati da Arafat e da Rabin gli accordi di Oslo. Con questi nasceva ufficialmente l’Autorità palestinese (Ap), l’ente che dovrebbe sovrintendere alla vita dei cittadini palestinesi e che avrebbe fatto nascere il nuovo Stato.
Fra questi obblighi di sovrintendenza, c’è anche quello sanitario e vaccinale. Sin dall’inizio, l’Autorità palestinese ha chiesto i vaccini ai russi e all’Organizzazione mondiale della sanità, che fornirà dosi nell’ambito del programma Covax (che dovrebbe coprire il 20% della popolazione dei Paesi indigenti). Nelle ultime settimane, c’è stata una rincorsa sui media di funzionari dell’Ap che dicevano “mai chiederemo i vaccini a Israele”. Qualche giorno fa, Amnesty International ha giustamente detto che Israele è tenuto a dare i vaccini alla Palestina per ragioni umanitarie.
A questo punto, il ministero degli Esteri palestinese ha emesso un comunicato nel quale chiedeva che venissero dati i vaccini da Israele in quanto questo, in Palestina, è potenza occupante. Delle due l’una: se valgono gli accordi di Oslo e quindi esiste l’Autorità palestinese, Israele non è tenuto a dare i vaccini. Se invece Israele è potenza occupante, non solo deve dare i vaccini, ma deve fornire tutto ai palestinesi, si deve occupare in tutto di loro, e l’Autorità palestinese non esiste.
Questo tira e molla dimostra quanto sia i nazionalismi (ebraico come arabo), ma soprattutto l’Ap siano un ostacolo più che un mezzo. Dopotutto, lo stesso Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha più volte minacciato lo scioglimento dell’Autorità palestinese. Solo in questo caso, Israele e la comunità internazionale potranno davvero affrontare il problema, perché la cosa costringerebbe Israele a prendersi cura di tutti i palestinesi. L’autodeterminazione dei palestinesi è più che legittima, ma deve essere fatta con criterio.
Il primo cambiamento è capire che più che questione palestinese si deve parlare di questione dei palestinesi, perché è in pericolo l’esistenza stessa di un popolo e di una tradizione. E non a causa (almeno non solo) di Israele: gran parte delle colpe le hanno i vertici palestinesi, gli stessi che negli anni si sono intascati milioni di aiuti, che hanno affamato il popolo (mentre Israele ha chiuso Gaza invocando questioni di sicurezza, l’Ap ha istituito dal 2007 una sorta di embargo, non girando alcun soldo delle tasse, di fatto contribuendo all’impoverimento della Striscia), che hanno puntato sull’assistenzialismo e non sulla crescita, che non hanno creato alternative, che hanno fatto fallire Oslo (come ha fatto pure Israele), non rispettando molti degli accordi.

Ancora un successo per Netanyahu
Vaccinare anche i palestinesi, per Israele significa, oltre ad un successo mediatico internazionale (il premier Benjamin Netanyahu sta puntando molto sul successo della campagna vaccinale per la rielezione nel voto anticipato del 23 marzo) essenzialmente tre cose.
In primo luogo, aumentare il credito e la benevolenza dei Paesi arabi con i quali ha siglato gli Accordi di Abramo e assicurarsi quella dei Paesi arabi che sono alla finestra pronti a siglare l’intesa. Poi, favorire le imprese israeliane che adoperano la manodopera della Cisgiordania e impedire il diffondersi del contagio in Israele. In terzo luogo, favorire l’apertura turistica di Israele visto che i luoghi sacri palestinesi legati al cristianesimo, come Betlemme, sono parte integrante del circuito turistico di Terra Santa. In ogni caso, è una vittoria per Netanyahu. L’ennesima in questi anni.
Foto di copertina EPA/Abir Sultan