Il trattato bilaterale fra Roma e Parigi è un’opportunità per l’Ue
I sottosegretari agli Affari europei Vincenzo Amendola e Clément Beaune hanno recentemente annunciato la volontà dei governi di Italia e Francia di firmare un trattato bilaterale entro la fine dell’anno.
Si tratta di un passo importante per le relazioni fra i due Paesi, una molto utile istituzionalizzazione dei rapporti fra Roma e Parigi che abbiamo già auspicato nel 2017 su AffarInternazionali.
La Francia ha un solo trattato di questo tipo al suo attivo: quello dell’Eliseo firmato nel 1963 fra Charles De Gaulle e Konrad Adenauer, poi rinnovato con la versione firmata ad Aquisgrana nel gennaio 2019. Rappresenta un perno fondamentale per la proiezione internazionale di Francia e Germania. Due Paesi che hanno passato la maggior parte del XX secolo nelle ostilità hanno così concepito una serie di meccanismi per determinare convergenze politiche senza dimenticare di coltivare la reciproca crescita delle rispettive lingua e cultura.
Il “tandem” franco-tedesco
Dal 1963 in poi il rapporto fra Bonn (poi Berlino) e Parigi è diventato un canale fondamentale per determinare convergenze in grado poi di trascinare l’evoluzione dell’intera Unione europea. Non si tratta di un “asse”, come troppo spesso descritto dalla letteratura italiana. In Francia viene chiamato coppia mentre a Berlino di parla di tandem il che dà un’idea più realista di un rapporto che ha conosciuto alti e bassi, ma che ha sempre funzionato come fondamentale cinghia di trasmissione all’interno dell’Europa.
Tra l’altro, il confronto continuo fra modello francese e tedesco rappresenta in sé un compromesso fra Europa del Nord e Europa del Sud, ma anche fra una repubblica presidenziale e una parlamentare, e crea quindi una mediazione che si può poi estendere all’insieme dell’Unione. Bisogna però sottolineare quanto questo trattato abbia instaurato un modo di funzionamento virtuoso: incontri governativi bilaterali, presenza incrociata di ministri durante alcuni consigli dei ministri, sedute comuni dei parlamenti, meccanismo di scambi di alti dirigenti ministeriali, collaborazione e scambio di informazione continua delle diplomazie.
Questi meccanismi sono la vera e propria macchina che spiega il successo della formula, e sarebbe auspicabile che fossero ripresi nella versione italo-francese.
Un rapporto difficile
La storia del trattato bilaterale fra Italia e Francia ha conosciuto varie vicissitudini negli ultimi anni. È stata evocata in conclusione del bilaterale di settembre 2017a Lione per poi essere lanciata da Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni all’inizio del 2018. L’elezione di Macron ha però corrisposto a un ciclo negativo per le relazioni fra Roma e Parigi segnato dall’accumularsi di una serie di dossier problematici. Stx-Fincantieri, la situazione in Libia, la pressione migratoria sull’Italia rappresentavano gli spigoli di un rapporto che andava degradandosi dall’inizio degli anni 2000. Tra l’altro, nel 2011 con i governi Berlusconi-Sarkozy ci fu un altro episodio di stallo bilaterale segnato da varie divergenze.
La volontà di stabilizzare i rapporti bilaterali anche tramite un trattato era certamente una buona idea ma arrivò troppo tardi nel 2018, quando il clima era diventato deleterio fra Roma e Parigi. Le elezioni politiche del 2018 accentuarono il confronto con Parigi, diventato un elemento di polarizzazione elettorale. L’insieme di questi fattori scatenò una crisi diplomatica segnata dalle convocazioni dei rispettivi ambasciatori, Teresa Castaldo e Christian Masset, momento che raggiunse il suo colmo nel 2019 con il ritiro dell’ambasciatore di Francia a Roma a seguito della visita fatta in Francia dall’allora vice-premier Luigi Di Maio a un comitato di gilet gialli oppositori del governo parigino.
Non stupisce, quindi, che i lavori del comitato creato nel 2018 per lavorare sul Trattato e composto da Franco Bassanini, Marco Piantini e Paola Severino dal lato italiano e Pascal Cagni, Sylvie Goulard e Gilles Pécout dal lato francese, si siano poi arenati di fronte alle tensioni in corso.
Il rilancio della prospettiva
Il progetto di un trattato bilaterale è rimasto per un po’ bloccato. Bisogna però ricordare che la firma nel 2019 del Trattato di Aquisgrana che rinnovò il dispositivo franco-tedesco accese un faro di interesse su un rapporto percepito in Italia con un mix di diffidenza e invidia, permettendo anche di ricordare che esisteva un progetto di trattato equivalente fra l’Italia e la Francia.
Il cambio di maggioranza del settembre 2019 e il passaggio dal primo al secondo governo Conte portò a una normalizzazione dei rapporti fra Francia e Italia. Nel frattempo, si registrò un grande lavoro di ricucitura delle diplomazie fatto dagli ambasciatori Castaldo e Masset in primis, ma anche dall’impegno della presidenza della Repubblica italiana, sempre attenta al mantenimento di canali aperti con Parigi.
Nel contesto del vertice bilaterale del febbraio 2020 a Napoli, e malgrado le avvisaglie di pandemia che lasciavano intravedere un futuro cupo, si tornò a una visione programmatica della collaborazione fra i due governi, il ché naturalmente portò a un rilancio del progetto del trattato bilaterale. In modo discreto ma efficiente le rispettive diplomazie si misero al lavoro su un testo, ormai nelle mani autorevoli della direzione generale per l’Unione europea della Farnesina. Nel corso del 2020 il progetto di trattato ha quindi conosciuto un iter classico ma rimanendo abbastanza sottotraccia.
Un nuovo ruolo per l’Italia
L’esecutivo Draghi ha poi rappresentato un ulteriore salto di qualità del posizionamento internazionale italiano. Mario Draghi ha chiaramente indicato la priorità data alla triangolazione dei rapporti con Berlino e Parigi. Ha già preso piede in modo autorevole nei Consigli europei, dove vuole incidere anche per poter sviluppare un riformismo europeo nel contesto della crisi. Per la parte italiana, quindi, il rafforzamento del rapporto con la Francia diventa funzionale a quest’affermazione e a questo disegno nel contesto europeo.
La questione di una maggiore triangolazione fra Roma, Parigi e Berlino corrisponde anche alla presa in conto del relativo indebolimento della Germania nel contesto della transizione post-Merkel che può essere compensata da un irrobustimento del ruolo italiano. Lo scenario post-Brexit ha prodotto un’Europa più continentale nella quale serve una maggiore integrazione. Dal lato francese si profilano all’orizzonte le elezioni presidenziali e politiche del 2022, anche lì un fattore di indebolimento. L’Italia può dunque giocare un ruolo trascinatore per il prossimo anno. Appena il governo Draghi si è insediato, i ministri Beaune e Bruno Le Maire sono giunti a Roma per incontrare i loro corrispettivi Amendola, Daniele Franco e Giancarlo Giorgetti, occasioni nelle quali si sono pronunciati in modo esplicito per la messa in agenda della firma del trattato bilaterale. Potendo anche contare sull’allargamento della maggioranza, il trattato bilaterale sta entrando nell’agenda del governo che dovrebbe poi portare a una firma entro la fine dell’anno, in sintonia con un vertice bilaterale e un’eventuale visita di Stato.
Anche per differenziarsi del rapporto fra Francia e Germania, è probabile l’adozione di un testo snello, che definisce un quadro di irrobustimento istituzionale che lascia la porta aperta ad eventuali accordi e approfondimenti settoriali ulteriori. La firma di questo trattato rappresenta comunque una pagina nuova delle relazioni dell’Italia con la Francia e con l’Europa, e dovrebbe anche tradursi in un riorientamento culturale per un’Italia che negli ultimi decenni considerava il rapporto con il Regno Unito, e anche la lingua inglese, come chiave pressoché unica del suo profilo internazionale.
Il rapporto fra Italia e Francia è a volte difficile, intriso di riferimenti storici complessi, ma bisogna sapere superare una lettura troppo restrittiva delle relazioni bilaterali per avere in mente l’opportunità che rappresenta il trattato bilaterale nel contesto di un rinnovato gioco europeo.
Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ