Della Vedova: “Il successo di Next Generation EU si gioca in Italia”
A margine del forum congiunto IAI-La Stampa “L’Ue alla ricerca dell’autonomia strategica”, AffarInternazionali ha conversato con Benedetto Della Vedova, sottosegretario al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, sui principali temi dell’agenda europea.
Next Generation EU e la presidenza del Consiglio di Draghi hanno rafforzato il profilo internazionale dell’Italia. La pandemia è stata l’occasione per l’Italia di riacquisire maggior peso in Europa? Quale sarà il futuro del concetto di solidarietà europea?
Il nuovo governo Draghi ha esordito con le parole del presidente del Consiglio stesso: questo governo è un governo europeista. Europeista in una fase in cui l’Ue come, ahimè, è capitato anche in passato, ha ritrovato energie per fare un salto in avanti in una crisi gravissima, senza precedenti, che è la crisi della pandemia da Covid-19. È evidente che la genesi di questo salto di qualità che ha portato al piano Next Generation EU è una genesi contingente, episodica. L’obiettivo nostro, certamente di Mario Draghi e del governo italiano, è di fare tesoro di questo salto quantico congiunturale per dimostrare che l’Europa può diventare un’unione in cui la solidarietà, anche in termini fiscali, cioè di raccolta e distribuzione delle risorse, funziona. Funziona nell’interesse di tutti, dei Paesi che più ricevono e che più danno. Chiudo su un punto: nelle scorse settimane sono cominciate le emissioni di titoli per finanziare Next Generation EU, titoli accolti molto bene dal mercato, dagli investitori istituzionali in questo caso. Sono bond che hanno scadenza trentennale, mentre Next Generation EU ha una scadenza di 5/6 anni, poi i progetti dovrebbero essere tutti ultimati. Anche questo è, bon gré mal gré, che lo si voglia o meno, un proiettare in avanti una maggiore integrazione europea. Credo che sia un segnale positivo. L’Italia è consapevole di avere la responsabilità principale per l’affermazione o meno di Next Generation EU. Il governo sta lavorando perché abbia successo.
La scorsa settimana, 16 partiti di diversi Stati europei hanno firmato la “Carta dei valori per immaginare insieme il futuro dell’Europa” sottolineando la necessità di una riforma di un’Unione europea che sta andando oltre le proprie competenze e mettendo a rischio la sovranità degli Stati Membri. Con riferimento a questo avvenimento, lei ha affermato che “lo scontro si farà aspro ed è bene che in quel momento le forze europeiste e liberal-democratiche arrivino con un progetto comune già in campo.” In cosa consiste il progetto comune a cui fa riferimento?
Credo che il miglior destino, non tanto dell’Ue quanto dei cittadini europei, stia in una maggiore integrazione e non in una rivendicazione di spazi delle nazioni. Penso che la maggiore integrazione guardi al futuro, il riferimento enfatico alle nazioni guardi al passato. Non c’è in gioco un super-Stato, caricatura dell’integrazione europea fatta dagli avversari dell’integrazione stessa; c’è semmai l’idea di dare ad una prospettiva ai prossimi 70 anni, e non ai precedenti 70 anni, e all’Unione europea una capacità di autogoverno adeguato. Significa avere istituzioni, poteri e budget, sufficienti ad affrontare le sfide che nell’interesse dei cittadini europei vanno affrontate a livello comunitario e non a livello nazionale. La pandemia anche qui è stata un richiamo fortissimo. Dal commercio internazionale ai cambiamenti climatici, dalla sicurezza nel Mediterraneo alla risposta a crisi sanitarie globale come la pandemia da Covid-19, la risposta per avere la scala necessaria per essere efficiente deve essere a livello europeo. Questa è l’integrazione fatta sulle regole liberal-democratiche, del costituzionalismo liberal-democratico su cui si base l’Ue, a presidio dei valori di libertà e democrazia che sono la base ineliminabile del progetto europeo e che sono tornate ad essere la base di un rinnovato patto politico e strategico globale transatlantico tra Unione europea e Stati Uniti.
Spesso si fa riferimento al deficit democratico dell’Ue e alla lontananza delle istituzioni europee dai cittadini e sembra che anche l’Ue ne sia consapevole. La Conferenza sul Futuro dell’Europa, avviata lo scorso 9 maggio, ha come obiettivo proprio l’ascolto dei cittadini alla luce del quale ripensare il funzionamento della casa comune. Non è forse vero, quindi, che l’Ue ha bisogno di una qualche riforma della sua struttura, del suo processo decisionale e della sua organizzazione? Se sì, quanto profonda deve essere questa riforma per far fronte alle sfide interne ed esterne?
Assolutamente sì e io spero, e il governo spera, che dalla Conferenza sul futuro dell’Europa possano arrivare indicazioni per fare un passo avanti anche dal punto di vista istituzionale. Va aggiunta una cosa però, perché la discussione sia di prospettiva costruttiva e positiva. Parlare di disaffezione o lontananza degli europei, di qualunque età, nei confronti delle istituzioni europee ha senso se si introduce un metro di misura e di paragone. Se si ricorda per esempio che alle ultime elezioni amministrative francesi, cioè delle realtà istituzionali più vicine ai cittadini, c’è stata una partecipazione al voto decisamente più bassa di quella media continentale per le elezioni europee. Quindi dobbiamo avere la stessa attenzione e cura per le istituzioni europee che abbiamo, o diciamo di avere, per le istituzioni italiane. È chiaro che siamo immersi da decenni in una discussione di revisione della Costituzione italiana – peraltro purtroppo inconcludente -, figuriamoci se non dobbiamo essere immersi e partecipi in una discussione sul rinnovo delle istituzioni europee.