Con l’uscita di scena di Angela Merkel l’Italia perde un’alleata in Europa
Poche persone sono state protagoniste del recente dibattito italiano quanto Angela Merkel. In sedici anni al potere la cancelliera tedesca è stata osannata e criticata, lodata e attaccata, elogiata e vituperata, spesso con la stessa incredibile energia, vittima di una discussione disordinata, approssimativa e spesso faziosa. A dispetto delle impressioni di molti, con il ritiro della Bundeskanzlerin dalla vita politica tedesca, l’Italia perde forse la sua migliore alleata in Europa.
Quando la cancelliera giunse al potere alla fine del 2005, alla guida di una Grosse Koalition tra i socialdemocratici e i democristiani, c’è chi considerò Angela Merkel un esempio per l’Italia. Piaceva il suo innato pragmatismo, e chi era rimasto deluso dall’allora premier Silvio Berlusconi, incapace di riformare il Paese, si augurò che una grande coalizione all’italiana potesse facilitare la modernizzazione dell’Italia.
Pragmatismo o opportunismo
Pochi però si chiesero quanto potesse essere sottile il confine tra pragmatismo e opportunismo. Dopo una prima fase di innamoramento, Angela Merkel divenne poco dopo il bersaglio di molte critiche. Le fu rimproverata prima di tutto la cauta reazione tedesca alla crisi finanziaria del 2008-2009. A Bruxelles, la cancelliera si oppose a una politica in comune per contrastare lo sconquasso bancario, la recessione economica, la crisi debitoria. Fioccarono ad Atene, ma anche altrove, le svastiche naziste associate alle foto della Bundeskanzlerin. Nei fatti quest’ultima temeva di investire denaro tedesco in un impegno comunitario. Più che il pragmatismo emerse il suo opportunismo. Aumentarono le tensioni. “Nessuno deve trattare gli altri Paesi come si trattano degli studenti”, disse piccato l’allora premier Matteo Renzi, rispondendo a Merkel che il giorno prima aveva invitato tutti i Paesi dell’Unione “a fare i propri compiti” nel risanare il debito pubblico.
Anche la crisi migratoria del 2015 indusse a reazioni accese. In un primo tempo, la scelta tedesca di confermare la regola seconda la quale il diritto d’asilo va chiesto al Paese di primo sbarco provocò nuove accuse. I più ritennero che la cancelliera dimostrasse poca solidarietà nei confronti dell’Italia. Poi, improvvisamente, Merkel aprì le frontiere tedesche ai rifugiati dalla Siria e dall’Iraq, smentendo molti suoi detrattori. Ciononostante, non pochi commentatori le attribuirono il desiderio di assicurarsi manodopera a buon mercato piuttosto che sentimenti umanitari. Altri, accusarono la leader tedesca di avere creato colpevolmente un effetto-calamita, inducendo migliaia di persone a trovare rifugio in Europa: “È l’ennesima presa in giro della Germania nei confronti dell’Europa”, disse allora il segretario della Lega Matteo Salvini.

Un bilancio del mandato (visto da Roma)
Oggi Angela Merkel si ritira, apprezzata da tutti: la sorprendente scelta di creare debito comune per riparare i terribili danni economici della pandemia virale l’ha scagionata dalle presunte colpe del passato. In realtà, a ben vedere, in questi ultimi 16 anni ogniqualvolta il destino dell’Italia era in bilico, il Paese poté sempre contare sul sostegno della cancelliera. Dimentichiamo per un attimo le tensioni del momento.
Nel 2011, la Germania accettò che la Banca centrale europea acquistasse debito sul mercato per raffreddare le tensioni finanziarie ed evitare il tracollo del Paese. L’anno successivo, dopo un duro confronto con il premier Mario Monti, la cancelliera dette il suo benestare alla sorveglianza bancaria a livello europeo e alla possibilità per il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) di salvare istituti di credito in difficoltà. Tra il 2014 e il 2016, su pressione del governo Renzi, acconsentì all’Italia di godere di una generosa flessibilità di bilancio. Infine, nel 2018, dette il suo avallo al bilancio programmatico del governo Conte I per l’anno successivo, platealmente in violazione delle regole europee con due misure di politica economica particolarmente controverse: la riforma pensionistica chiamata Quota 100 e il reddito di cittadinanza.
In ultima analisi, l’accusa più frequente, quella di rigorismo economico, è smentita dalle statistiche: tra il 2005 e il 2019, escludendo quindi l’anno della pandemia e limitandoci al cancellierato Merkel, il debito pubblico italiano è salito dal 106 al 134% del Prodotto interno lordo. In tutti questi casi, la cancelliera concesse all’Italia l’appoggio della Germania, in fondo nello stesso modo in cui Konrad Adenauer aveva coltivato particolari rapporti con Roma nell’immediato dopoguerra, Helmut Schmidt aveva esortato nel 1974 la Bundesbank ad aprire una linea di credito a favore della Banca d’Italia nel pieno dello shock petrolifero, e Helmut Kohl aveva dato il suo benestare nel 1997 all’ingresso del Paese nell’unione monetaria, contro il volere di una fetta importante della società tedesca.
Al netto di un evidente opportunismo politico e molti dubbi, la Bundeskanzlerin si è dunque rivelata spesso la migliore alleata dell’Italia. Nello stesso modo in cui la Germania coglie l’occasione del ritorno alle urne per fare il punto dopo il lungo cancellierato Merkel, l’Italia dovrebbe approfittarne per interrogarsi sulla natura di un dibattito nazionale che spesso offusca la realtà più di quanto non contribuisca a chiarirla, mina la lucidità del Paese più di quanto non aiuti ad aumentarla.
Foto di copertina ANSA/ CHIGI PALACE PRESS OFFICE/ FILIPPO ATTILI