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L'Italia e l'Afghanistan

Riconoscere il governo dei talebani è un atto non necessario

13 Set 2021 - Natalino Ronzitti - Natalino Ronzitti

Nei giorni scorsi sono state prospettate opposte opinioni tra le forze politiche tra chi avrebbe voluto il riconoscimento dei talebani e chi invece si è dichiarato contrario o, quanto meno, ha affermato che non poteva essere presa una decisione unilaterale, ma si sarebbe dovuto aspettare un pronunciamento collettivo.

Ormai i tempi stringono. I talebani hanno insediato il loro governo a Kabul, sia pure in via di completamento, e le imminenti riunioni governative a livello multilaterale sulla questione afghana rendono non più procrastinabile una decisione italiana. Tanto più che il G20 straordinario sull’Afghanistan sarà sotto la nostra egida.

Cosa significa riconoscimento del nuovo governo afghano? Nella pratica diplomatica si distingue tra riconoscimento di Stati e riconoscimento di governi. Il primo ha luogo quando un nuovo Stato si affaccia nella comunità internazionale, mentre il secondo viene impiegato nel caso di un mutamento rivoluzionario di regime allo scopo di intrattenere rapporti diplomatici con il nuovo governo. Nel caso concreto nessuno dubita che l’Afghanistan sotto l’egida dei talebani sia la continuazione dello Stato amministrato dal governo al potere precedentemente, mentre un problema di riconoscimento si porrebbe solo per il nuovo governo.

Ma il riconoscimento formale del nuovo governo è necessario per poter entrare in relazione con le nuove autorità? Secondo il Regno Unito ed altri Paesi, no. Londra ha cambiato politica dagli anni ’80 e riconosce solo i nuovi Stati, non i nuovi governi. La motivazione? Non essere costretto, mediante un atto ufficiale di riconoscimento, a legittimare governi improntati ad un regime dittatoriale, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Esigenze politiche possono essere d’impulso ad entrare in relazione con il nuovo governo. Ma a tal fine non è necessario un atto formale di riconoscimento: è sufficiente la semplice constatazione che il nuovo governo esercita la sua autorità sul territorio e la popolazione dello Stato in cui è insediato. In altri termini quello che conta è il principio di effettività.

Quanto osservato non è smentito dagli accordi di Doha stipulati da Donald Trump e dai talebani, il 29 febbraio 2020, cioè tra gli Stati Uniti e l’Emirato dell’Afghanistan, non riconosciuto, come detto più volte negli Accordi, dagli Stati Uniti. Infatti in quel periodo l’Afghanistan era ancora sotto l’egida del governo di Kabul ed i talebani erano solo un’entità rivoluzionaria. Tra l’altro, il Consiglio di sicurezza dell’Onu fa riferimento agli accordi di Doha (ris. 2513-2020), ma successivamente ha preso atto del fatto che i talebani costituiscono l’autorità effettiva dell’Afganistan e si aspetta che essi tengano fede all’impegno di consentire a chi lo desidera di lasciare il territorio (ris. 2593-2021).

Poiché si è di fronte ad una fattispecie di continuità dello Stato, i trattati stipulati dal precedente governo permangono in vigore, tranne quelli che possono considerarsi estinti per un mutamento fondamentale delle circostanze. Per quanto riguarda l’Italia, stando alla lista pubblicata dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale sul sito Atrio e salvo un più attento esame, non sembra che per il momento possa dirsi che esistano trattati bilaterali Italia-Afghanistan.

L’Afghanistan è invece parte di importanti trattati multilaterali, tra cui il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Non consta che il nuovo regime li abbia denunciati e quindi essi continuano a vincolare l’Afghanistan.

L’Afghanistan è membro delle Nazioni Unite e di altri organismi facenti parte del sistema onusiano. Fino al 2020 è stato membro del Consiglio dei diritti umani ed è stato eletto (udite, udite!) membro della Commissione sullo status delle donne, che è un organismo del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, composta da 45 membri. La Commissione si occupa dell’eguaglianza di genere e dovrebbe promuovere i poteri delle donne nella vita sociale. Il mandato dell’Afghanistan scade nel 2025.

La questione di chi debba rappresentare lo stato in un organismo internazionale non è tanto una questione di riconoscimento di governi, quanto di credenziali. L’ente che esercita i suoi poteri di governo effettivi nello Stato membro dell’organizzazione internazionale ha diritto di indicare il funzionario che deve rappresentarlo. Può lasciare che il compito venga svolto dal rappresentante del precedente governo, oppure indicare una nuova persona. In caso di contestazione si apre una procedura nella commissione delle credenziali, e la procedura termina con un voto degli Stati che fanno parte della commissione e, se del caso, viene sentito il plenum dell’organismo.

Il governo italiano dovrebbe astenersi dal prendere posizione sulla vicenda mediante un formale atto di riconoscimento del nuovo governo afghano. Avendo constatato che il governo dei talebani costituisce l’ente che esercita effettivamente i poteri in Afghanistan, può benissimo interloquire con il nuovo governo affinché questi prenda i provvedimenti necessari per rispettare gli impegni presi. Essenziali sono i trattati multilaterali che vincolano l’Afghanistan e che contengono strumenti, quantunque imperfetti, per assicurare la loro attuazione.

Imprescindibile è che l’Afghanistan non denunci i trattati multilaterali di cui è parte, a cominciare dal Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e dallo Statuto della Corte Penale internazionale.