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Osservatorio IAI-ISPI

L’Unione alle prese con la sua proiezione globale

21 Ott 2021 - Federico Castiglioni - Federico Castiglioni

Il vertice europeo del 21 e 22 ottobre si va a inserire in un momento delicato per gli equilibri internazionali, in particolare nell’area del Pacifico. L’attenzione globale è infatti concentrata su Taiwan, presa di mira ad inizio ottobre da vaste esercitazioni militari cinesi, ma anche sulla sorte dell’Afghanistan dopo la vittoria del regime talebano.

L’incontro del Consiglio europeo, principalmente dedicato alle strategie vaccinali nazionali e al previsto rincaro dei prezzi dell’energia, tratterà anche il tema delle relazioni esterne dell’Unione con un ordine del giorno influenzato dalle priorità della presidenza italiana del G20 e un’attenzione sullo sfondo dedicata alle aree geografiche al centro delle attuali crisi.

Clima in cima all’agenda
Proprio sulla scorta di quanto discusso a Napoli dal G20 dedicato ad ambiente ed energia, il summit affronterà i lavori preparatori per la Cop26 di Glasgow sul clima, rimandata nel 2020 a causa della pandemia e ora in programma per il prossimo novembre. Proprio l’Italia è stata al centro di due eventi preparatori prima dell’incontro internazionale, uno organizzato a Roma dalla Santa Sede e diretto alle autorità religiose e uno tenutosi a Milano e che ha visto come protagonisti i giovani dei “Fridays for Future”.

La conferenza di Glasgow sarà significativa per il ritorno degli Stati Uniti nei negoziati tesi ad evitare che il riscaldamento globale nei prossimi anni superi 1,5° C, dopo che Donald Trump aveva portato a termine le procedure per uscire dagli accordi di Parigi e così sottrarsi dagli impegni assunti dalla presidenza Obama. Il cattolico Biden si fermerà a Roma sulla strada di Glasgow il 29 ottobre, e l’occasione sarà certamente sfruttata per ribadire a Papa Francesco l’impegno americano a cambiare corso.

La Cop 15 di Kunming sulla biodiversità organizzata dalla Cina rappresenta il naturale completamento degli sforzi delle Nazioni Unite sul clima, nonché una delle rare testimonianze di impegno cinese sulle tematiche ambientali.  L’incontro, anch’esso calendarizzato nel 2020 e posticipato a quest’anno, si è tenuto in modalità virtuale il 15 ottobre, in attesa di una sessione conclusiva in Yunnan il prossimo aprile. Il Consiglio europeo dovrà dare il via libera alla strategia a cui sta lavorando la Commissione per gli “EU nature restoration targets”, il cui effetto rischia di andare a complicare il dibattito sui rincari energetici che già si profila acceso.

Anche in questo caso, l’Unione si troverà in una posizione delicata per la volontà politica di voler segnare il passo sulla sensibilità ambientale, seguendo una tradizione ormai consolidata, da una parte, e le tensioni interne dovute alla difficoltà di procedere a una rapida transizione energetica, dall’altra.

Una faticosa presenza diplomatica internazionale
Le questioni ambientali sono centrali per l’Ue anche in vista del vertice Asem del 25 e 26 novembre. Il Forum di relazioni euro-asiatiche (che può contare 51 Stati membri tra cui i Paesi Asean, Cina e India) sarà un’occasione preziosa di incontro per discutere lo stato della “Connectivity Agenda”, pensata nel 2019 per promuovere le relazioni sociali e commerciali prima della pandemia tra i due continenti e ora messa alla prova dal crollo subitaneo dello scorso anno.

L’Unione europea si presenta all’appuntamento con il Regno Unito per la prima volta come partner esterno e conscia che le tensioni nel Pacifico potrebbero esacerbare il dialogo politico. Durante l’ultimo incontro dell’Asem, tenutosi a Madrid nel dicembre 2019, si era già discusso di inquinamento degli oceani e cambiamento climatico, ma anche allora era stata dedicata attenzione agli eventi in corso nel Mar cinese meridionale nel corso della tradizionale “retreat sessions”. Nell’agenda del prossimo vertice, che si terrà sotto la presidenza cambogiana, i temi in discussione saranno quelli del multilateralismo e della ripresa dei rapporti post-pandemici, con un probabile interesse dedicato ancora una volta a temi sociali, come i diritti delle donne, e ambientali. Pur essendo difficile che il dialogo tocchi questioni calde di politica internazionale (come Taiwan) il clima in cui l’incontro avviene lo rende importante agli occhi dell’Ue, che mira a far sentire il più possibile la sua presenza diplomatica globale.

La situazione nel Partenariato orientale
Lo stesso obiettivo è ben visibile per quanto riguarda il partenariato orientale al centro dell’incontro dell’Ue con Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaigian del 15 dicembre prossimo. A differenza che nell’area indo-pacifica, l’Ue ha interessi di vicinato molto concreti con questi Paesi. La priorità politica, ribadita anche dalla Presidenza di turno slovena, è quella di garantire una transizione pacifica e democratica in Bielorussia, dove l’attuale presidente Aleksandr Lukashenko sta continuando a condurre politiche repressive contro l’opposizione a seguito dell’ondata di proteste post-elettorali dello scorso anno.

Ad oggi la Bielorussia si trova in un parziale isolamento internazionale e solo la Russia e la Cina riconoscono l’esito elettorale del 2020. La Commissione ha già stanziato un pacchetto di aiuto di 3 miliardi per incentivare la transizione democratica, stabilendo dei programmi di punta a tappe. Le possibilità che gli aiuti vengano accettati e che abbia luogo un passaggio di poteri sono basse, anche considerando l’attivo sostegno russo per evitare il collasso dell’attuale governo in seguito alle sanzioni occidentali. E mentre Georgia e Moldavia sono state alle prese negli ultimi mesi con alcuni problemi di politica interna connessi ai rispettivi appuntamenti elettorali, l’emergenza in Ucraina, Armenia e Azerbaigian sembra essere ben più seria e riguarda i precari equilibri regionali messi a repentaglio da venti di conflitto. In Ucraina il fronte caldo è ancora una volta quello con la Russia, dove un’esercitazione ad aprile aveva generato preoccupazione per una recrudescenza del conflitto del 2014, mentre nell’area caucasica è l’Azerbaigian a trovarsi negli ultimi giorni nel mirino di un’esercitazione militare iraniana, a pochi mesi dalla fine del conflitto con la vicina Armenia.

Ambizione e promesse
Le relazioni esterne dell’Unione europea stanno sperimentando oggi una nuova fase di rodaggio, certamente indebolite dall’assenza britannica (evidente anche nel caso degli accordi Aukus, il fronte anglosassone nel Pacifico tra Australia, Usa e Regno Unito) e dalle incomprensioni con il partner americano nate dopo la ritirata dall’Afghanistan. Le dichiarazioni di principio dei capi di Stato europei per un maggiore coordinamento comune hanno recentemente incontrato l’attivismo del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi per sanare la frattura atlantica sull’Afghanistan e metterla in congiunzione e non in opposizione con i progressi europei fatti nel settore della politica estera e di sicurezza comune (Pesc).

Al di là di questo, il dato concreto che emerge è quello di un’ambizione di dialogo Ue che viaggia su binari paralleli a quelli degli Stati membri ma i cui risultati sono sempre incerti. Gli obiettivi di sicurezza e difesa esterna, veicolati ad oggi dallo Strategic Compass a complemento della Global Strategy del 2016, tentano faticosamente di unire l’anelito di autonomia strategica con un ordine del mondo sempre più multilaterale. In questo quadro, i due canali di ingresso e proiezione tentati, ossia l’ambiente e la promozione della democrazia e dei diritti umani, vanno a inserirsi in una realtà post-pandemica internazionale caratterizzata da molte incognite.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.