G20: le quattro sfide per il commercio internazionale dopo la pandemia
Il 2021 si apre con notevoli sfide per il commercio internazionale. Per il G20 sotto presidenza italiana – che prende avvio dopo un periodo difficile per molti aspetti – quello dei rapporti economici internazionali tra Paesi è sicuramente uno dei temi centrali.
Prima di tutto, gli effetti della pandemia da Covid-19 si sono fatti sentire su moltissime economie e di conseguenza anche sugli scambi globali, rallentati non solo per via della caduta di produzione e domanda che nel 2020 ha penalizzato molti Paesi. Sugli scambi internazionali hanno anche pesato le difficoltà di collegamento e trasporto, le restrizioni e le misure sanitarie che sono state messe in campo dalle principali economie mondiali per contrastare l’emergenza sanitaria e che hanno notevolmente complicato l’organizzazione del commercio internazionale.
Riprendere gli scambi per uscire dalla crisi
Secondo i calcoli del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, la caduta degli scambi nel 2020 si è attestata intorno al 10% rispetto all’anno precedente, ma questa stima è stata più volte corretta sia in positivo sia in negativo nel corso dell’anno, seguendo l’andamento della pandemia e delle prospettive per l’economia dei vari Paesi. Anche gli investimenti diretti esteri a livello globale hanno fatto registrare una brusca caduta, con riflessi sul commercio internazionale.
Al di là del valore preciso registrato, va ricordato che questa caduta è arrivata dopo circa un decennio in cui il trend di crescita del commercio mondiale, sebbene positivo, risultava già minore rispetto al decennio precedente. La prima sfida da affrontare per il commercio mondiale è riuscire a mettere in atto il rimbalzo previsto per il 2021 e riportarsi su livelli di crescita adeguati.
È opinione del tutto condivisa che gli scambi mondiali, consentendo maggiore accesso a una serie di beni necessari e un più efficiente utilizzo delle risorse dei vari Paesi abbia aumentato la prosperità mondiale in modo significativo, permettendo a decine di milioni di persone di uscire dalla povertà. Anche nel corso della recente crisi sanitaria, gli scambi tra Paesi si sono dimostrati fondamentali nel consentire la fornitura di materiale sanitario e medicinali a molte aree non autosufficienti da questo punto di vista.
Appare quindi centrale mantenere aperti i confini dei Paesi agli scambi e avere una nuova ripresa del commercio internazionale per accelerare l’uscita dalla crisi economica per molti di essi.
La riforma del Wto
Il rallentamento del commercio internazionale osservato negli anni passati è stato anche causato, prima ancora che dallo shock della pandemia, da un maggiore ricorso al protezionismo da parte di una serie di paesi, Stati Uniti e Cina in primo luogo, che si sono affrontati in quella che molti hanno definito una guerra commerciale.
In questo scenario si è mostrata poco efficace l’azione del Wto, istituzione che appare in crisi da tempo. La seconda sfida fondamentale da affrontare è pertanto quella della riforma del Wto e di un ritorno al pieno multilateralismo nelle trattative commerciali tra Paesi, proprio per consentire agli scambi di ritornare a crescere in modo significativo, e ai Paesi di negoziare sotto un ombrello comune.
Questo è un tema cruciale per il G20 nel corso del 2021. Il cambio di amministrazione negli Usa fa sperare che l’escalation della guerra commerciale sia alle spalle, ma le tensioni tra Washington e Pechino permangono e tra le due maggiori potenze economiche mondiali ci sono ancora molti punti di contesa aperti. Non è dunque scontato aspettarsi una riduzione automatica delle barriere protezionistiche. L’Europa ha molto da perdere da una situazione di chiusura dei mercati mondiali o dalla potenziale frammentazione del mondo in aree di influenza economiche distinte, e dovrebbe farsi carico di portare avanti attivamente il piano di riforme del Wto, mantenendo alta l’attenzione su questo tema durante il G20.
I rischi del “reshoring”
La riduzione dell’incertezza per le imprese che operano sui mercati mondiali è la terza sfida aperta, strettamente collegata alle precedenti. Come detto, nel corso dell’anno passato prevedere l’andamento dei mercati è stato difficile; molte imprese hanno sperimentato problemi sia nelle catene di approvvigionamento e di produzione sia nelle consegne finali. Questi problemi congiunturali si sono aggiunti all’incertezza già creata dall’aumento del protezionismo e dalla percezione che gli accordi in essere sul funzionamento dei mercati mondiali non fossero più garantiti.
A fronte dell’aumentata percezione dei rischi e della maggiore volatilità dei mercati, alcune imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, potrebbero valutare di ridimensionare la propria presenza internazionale. Si sente molto parlare del cosiddetto “reshoring”, ovvero di riportare all’interno dei confini nazionali fasi produttive dislocate altrove, anche se i dati mostrano che per ora il fenomeno è limitato. La spinta verso queste strategie di apparente riduzione del rischio va tenuta sotto controllo, perché può portare a notevoli costi e inefficienze.
Ma solo con mercati più stabili e sicuri le imprese continueranno sulla strada dell’internazionalizzazione, e dunque ridurre la volatilità e i rischi complessivi attraverso politiche stabili e trasparenti a livello globale è fondamentale.
Un migliore utilizzo delle risorse comuni da parte di tutti
Infine, un’ulteriore fondamentale sfida non deriva direttamente dai problemi degli ultimi mesi, ma richiede di guardare all’evoluzione del commercio internazionale in una prospettiva più ampia.
Per poter continuare a crescere a ritmi sostenuti e a dare stabilità ai singoli Paesi e alle imprese, le modalità del commercio internazionale devono essere in parte riviste, per garantire maggiore coinvolgimento di tutti i Paesi, anche in via di sviluppo, e maggiore sostenibilità globale, riducendo il pericolo di derive populiste o protezioniste.
Questo significa che probabilmente i meccanismi di negoziazione negli accordi commerciali sia multilaterali sia bilaterali vanno ripensati, e che nelle intese l’utilizzo di risorse globali comuni deve essere esplicitato e tenuto in conto. Non si tratta di modifiche utopistiche, anche se la loro realizzazione richiede tempo. Così come la maggior parte dei Paesi ha abbandonato posizioni mercantilistiche ed è arrivata a convincersi che il commercio internazionale non è un “gioco a somma zero”, ma che ci sono benefici per tutti e che un sistema di regole condivise è una garanzia comune, è possibile immaginare che la spinta per una ripartenza dopo una crisi così profonda porti a ulteriori cambiamenti.
Per ottenerli, oltre ad una chiara volontà politica – che ci sia augura il G20 possa esprimere al termine dei lavori di quest’anno -, deve essere chiaro a tutti gli attori coinvolti che la maggiore efficienza portata dalla specializzazione dei Paesi e dal commercio internazionale non significa solo riduzione dei costi di produzione, ma soprattutto migliore utilizzo delle risorse disponibili da parte di tutti, includendo anche le risorse ambientali e le risorse umane.
Con la condivisione di questi principi è possibile immaginare di ridisegnare regole comuni per il funzionamento dei mercati, che consentano una nuova crescita sostenuta degli scambi.
Lucia Tajoli è Co-Chair della Task Force Trade, Investment and Growth del Think-20 (T20), uno degli engagement group ufficiali del G20, quest’anno sotto presidenza italiana.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.