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PALAZZO DI VETRO

Giandomenico Picco: il “soldato disarmato della diplomazia” e il debito della memoria collettiva

6 Gen 2021 - Francesco Semprini - Francesco Semprini

Il mio primo ricordo di Giandomenico Picco risale a una quindicina di anni fa; collaboravo alla realizzazione di un documentario autoprodotto – “Why is Kofi Annan not a woman?” – un approfondimento sulla parità di genere nella leadership delle Nazioni Unite.

L’auspicio era che, in prossimità della fine del mandato del settimo segretario generale Onu, al 38esimo piano del Palazzo di Vetro potesse finalmente salire una donna. Le cose andarono diversamente, ma di quella esperienza mi rimasero impresse le parole di Picco, il quale raccontò come le sue esperienze di negoziatore nei quattro angoli del pianeta gli avessero permesso di conoscere tante protagoniste di un’instancabile attività diplomatica, sovente meno palpabile e immediata rispetto ai colleghi uomini, ma senza dubbio di cruciale importanza nell’intreccio di equilibri che governano le relazioni internazionali.

Rivolgendosi proprio a loro, l’ex sottosegretario generale dell’Onu disse di tenersi pronte a pensare “out of the box”, ovvero di uscire da parametri della convenzionalità perché così avrebbero colto le opportunità a cui certi meccanismi pregiudiziali impedivano loro di accedere. Un messaggio pacato, apparentemente burbero, intriso della perentorietà tipica del friulano doc di Udine. L’impressione che ne ebbi fu una conferma dell’immagine che mi ero fatto di lui, un uomo preceduto dalla sua formidabile storia professionale di “soldato disarmato della diplomazia”, come lo definì l’ex segretario generale dell’Onu Javier Pérez de Cuéllar (con lui nella foto di copertina, ndr).

L’impegno per la liberazione degli ostaggi
Picco ha servito per oltre trenta anni le Nazioni Unite nel campo della risoluzione dei conflitti fino al grado di sottosegretario generale. È stato personalmente e direttamente in prima linea nei negoziati che hanno portato alla fine dell’invasione sovietica in Afghanistan nel 1988 e della guerra Iran-Iraq nello stesso anno, e ha partecipato a importanti missioni di peacekeeping nei Balcani. Ma il capitolo più celebre della sua esperienza è stato il negoziato Onu, dal 1989 al 1992, per il rilascio degli ostaggi occidentali in Libano, rapiti dai guerriglieri che confluiranno in Hezbollah, così come negli anni si è speso per riportare a casa altri dispersi o detenuti senza un giusto processo.

Le milizie sciite erano state protagoniste di una lunga serie di rapimenti: in quegli anni scompaiono 104 persone, tra cui 26 americani, 16 francesi, 12 inglesi, solo per menzionarne alcuni.

Tanti, troppi. Così il funzionario Picco, conscio del legame che esiste tra le milizie sciite e l’Iran degli ayatollah, recupera alcune vecchie amicizie americane, come quella dell’attuale capo della diplomazia di Teheran Javad Zarif, conosciuto mentre studiava negli Usa. Sono il lasciapassare per tentare quanto meno un negoziato.

Ottiene il via libera da Pérez de Cuéllar, il resto lo fa il coraggio di un diplomatico di prima linea. Un viaggio dopo l’altro sino a trattare col capo dei capi dell’organizzazione, convincendoli. Gli ultimi ostaggi vengono liberati dalle segrete di Beirut il 17 giugno 1992. “Sono stati i miei giorni più belli”, racconterà nel suo libro “Man Without a Gun. One Diplomat’s Secret Struggle to Free the Hostages, Fight Terrorism, and End a War“. Un uomo senza pistola ma con cuore e coraggio di grande calibro, come testimoniano le onorificenze morali e materiali dei Paesi coinvolti nella liberazione: “Il presidente George H. W. Bush mi offrì la cittadinanza americana, con garbo rifiutai”. L’epilogo della vita professionale di Picco è però scritto nel suo Dna. Il sottosegretario si scontra con le gelosie dei tecnocrati Onu, scettici sul “diplomatico disarmato”, e lui lascia il Palazzo di Vetro.

Il mestiere di eroe
Il privilegio che porto dietro come un straordinario bagaglio culturale è aver parlato di tutto questo proprio con lui quando lo chiamavo nei suoi uffici di Gdp Associates, la società di consulenza strategica che aprì nel 1994. A volte nel corso di interviste, altre volte in chiacchierate meno impegnate con cui provavo a carpire qualche retroscena ancora non detto. Uno dei suoi pallini è sempre stato il simbolismo del numero 8, me ne parlò in una mail inviata dopo aver avuto un diverbio con un casa editrice per l’uso della data 8.8.88. pregandomi di essere rigoroso nella compilazione della biografia con cui lo avremmo presentato all’Unca. “La chiave della mia vita è il numero 8 – ripete ancora come un mantra nel profilo social -. Sono nato l’8 ottobre 1948, e mediai il cessate il fuoco della guerra Iran-Iraq, dopo otto anni di guerra l’8.8.1988 e alla fine degli Anni 80, iniziai il negoziato per il rilascio degli ostaggi occidentali”.

Nemesi seguite a interrogazioni secolari come quando si chiede cosa attenda il Vecchio continente dinanzi al tramonto della realtà Stato-nazione e le difficoltà ad emergere dell’entità macro-regionale “Europa”. “Il mio mondo era più semplice, Usa e Urss comandavano – ripete come un mantra Picco -. Ora è una giungla. Io andai mentre tutti mi dicevano ‘fai carriera, chi te lo fa fare?’, perché non credevo che un diplomatico Onu potesse essere equidistante tra terrore e tolleranza. Ho pagato dei prezzi duri, pubblici e privati, per le mie scelte”.

Così lo sguardo di Picco si adombra davanti al presente, “perché è duro, e solitario, e senza paga”, il mestiere di eroe, lui stesso confessa. Ma è mestiere che lascia memorie indelebili, incondizionate, di cui tutti, nessuno escluso, hanno tratto un insegnamento umano, culturale e politico, aggiungo io.

Ed ora che è Giandomenico Picco – l’uomo ancor prima che il negoziatore – ad avere necessità, la memoria collettiva è chiamata ad onorare il suo debito.

A Giandomenico Picco – qui il suo profilo TikTok – è stata diagnosticata la malattia di Alzheimer tre anni fa. La sua situazione è aggravata da difficoltà economiche sopraggiunte di recente che non gli permettono di vivere dignitosamente, come meriterebbe una persona della sua statura. Il nostro obiettivo è di aiutarlo con questa campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi già avviata grazie alla pubblicazione su “La Voce di New York”  dell’iniziativa e del testo sopra riportato.

Tutti i proventi andranno a coprire il costo della sua assistenza a lungo termine. La campagna di raccolta fondi è disponibile su GoFundMe.