Per l’Europa una crisi da non sprecare
“La democrazia si regge sulla promessa di mobilità sociale e di crescita del benessere. Se i redditi vanno precipitando, se si acuiscono le diseguaglianze, le democrazie crollano”. Massimo Cacciari descrive così i pericoli della crisi che attanaglia gli stati liberali occidentali. Da tempo ormai assistiamo alla crescente sfiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche, una tendenza oggi aggravata dalle difficoltà economiche dovute alla pandemia e che ci espone al rischio di derive autoritarie.
Motivo per cui l’Unione Europea deve agire per allontanare le proprie democrazie dallo spettro della politica dell’uomo forte e trovare la coesione interna necessaria sia per mantenere il proprio ordine liberale che per competere con le potenze commerciali globali. Promuovere perciò una nuova e autorevole immagine europea attraverso un processo di integrazione interna che rinnovi il sistema democratico occidentale verso una prospettiva federale.
Coesione interna
Next Generation EU, il piano della Commissione per la ripresa economica post-pandemia, potrebbe essersi mosso verso un’Europa più unitaria. Si tratta di un fondo di 750 miliardi che mira a garantire la stabilità dell’euro e delle interconnesse economie europee, sospendendo la severa politica del patto di stabilità e, grazie agli eurobond, abbattendo il tabù dell’indebitamento comune. “Se una cosa così importante funziona è difficile che rimanga un episodio” ha dichiarato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, mentre il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha parlato di momento hamiltoniano dell’Ue. Questa misura eccezionale può davvero diventare definitiva?
La creazione di una capacità fiscale comune sarebbe il primo passo verso una democrazia meta-statale capace di prevenire le derive autoritarie e rilanciare il ruolo internazionale del Vecchio Continente. Una mossa che ammorbidirebbe le conseguenze di shock economici, ma permetterebbe anche di stanziare fondi per la politica estera di un’Unione europea che agisca come attore geopolitico unitario.
Ad oggi, i 27 membri non condividono una strategia diplomatica e le loro contraddizioni impediscono a Bruxelles di presentarsi come interlocutore influente. Nel panorama mondiale, la poco autorevole Europa attuale rischierebbe di essere schiacciata dalla competizione tra Cina e Stati Uniti o, in alternativa, di sopravvivere nell’ombra statunitense.
E se invece, completata l’unione economica, si potesse finanziare un’Ue più incisiva sulla scena globale? Partendo dal superamento del voto all’unanimità in politica estera e di sicurezza comunitarie, si potrebbe raggiungere un’intesa sulle relazioni internazionali e rivitalizzare il Fondo europeo per la difesa. Se, una volta superate le lentezze interne, l’Unione raggiungesse l’autonomia strategica, potrebbe finalmente uscire dal suo provincialismo.
Proiezione internazionale
Una partita importante per la ricerca di autorevolezza europea si giocherebbe di sicuro nel vicino Mediterraneo, regione che, dato il ritiro Usa, è diventata terra contesa tra potenze. Sono di esempio le ambizioni imperialiste turche e russe, gli interessi legati alla Bri cinese e le operazioni militari delle locali petromonarchie.
Un’Unione più influente potrebbe inserirsi in questa contesa e proporsi come partner capace di portare soluzioni istituzionali alle tensioni tra gli Stati della regione Medio Oriente/Nord Africa. Dare quindi il via a una cooperazione tra le sponde del Mediterraneo sotto l’egida europea e garantire una connettività commerciale con l’Occidente più competitivo nei mercati mondiali. Una rotta che colleghi Atlantico e Indo-Pacifico utile a Bruxelles e Washington per promuovere un sistema di scambio e investimento basato sulla cooperazione, in alternativa al capitalismo politico cinese.
Infatti, Pechino, che finanzia da anni le infrastrutture, la tecnologia e le imprese cinesi in Africa, lega a sé i diversi paesi che gli sono debitori, tenendoli sotto scacco al solo fine di accrescere il proprio soft power e ampliare il proprio mercato.
La sfida dei 27 è rispondere al modello cinese garantendo uno sviluppo sostenibile lontano da ingerenze politiche, progetto che potrebbe nascere con la Nuova strategia globale con l’Africa, una proposta che vuole facilitare la condivisione di obiettivi tra i due continenti. In modo da finanziare infrastrutture e digitale, accesso all’energia e transizione verde, ma garantire anche diritti umani e opportunità occupazionali.
È poi fondamentale intervenire in ambito sanitario: l’Africa necessita di assicurare la salute della popolazione, soprattutto di fronte alle probabili future pandemie. Riassumendo, il piano europeo per Medio Oriente e Africa deve basarsi sui valori democratici e liberali condivisi dagli Stati membri, in un’ottica di cooperazione fra nazioni che ne garantisca la sovranità interna e che non prescinda dallo stato di diritto.
Saper guardare lontano
Il futuro dell’Unione europea è segnato da due opzioni: la prima, continuare a galleggiare, tamponando le crisi con misure temporanee, chiudendo gli occhi davanti alle derive autoritarie e rassegnandosi a un ruolo marginale nel panorama mondiale. La seconda, reagire alle debolezze rinnovandosi e attuando politiche utili sia alla coesione interna che a un nuovo ruolo internazionale.
“L’Europe se fera dans les crises” affermava Jean Monnet. In questo anno l’Unione ha già dato prova di saper uscire dal suo status quo, ora tutto starà alla scelta tra una politica che torni al 2019 o una capace di lungimiranza.
Foto di copertina EPA/JOHANNA GERON / POOL
Il PremioIAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967
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