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Cooperazione multilaterale

Migranti: Global Compact, una vittoria a metà

10 Gen 2019 - Enza Roberta Petrillo - Enza Roberta Petrillo

Il 10 dicembre 2018 è stato approvato a Marrakech il Global compact for safe, orderly and regular migration il primo atto multilaterale che fissa un piano programmatico globale per la gestione di migrazioni “sicure, ordinate e regolari”. Un “documento equilibrato e prudente – ha argomentato lo studioso di migrazioni internazionali Maurizio Ambrosini – articolato in 23 obiettivi, per ciascuno dei quali sono elencate diverse azioni possibili. Non manca di ribadire che spetta ai Governi nazionali definire la propria politica migratoria, distingue tra migrazioni regolari e irregolari, parla di lotta ai trafficanti e di sostegno al ritorno alle terre di origine.”

Una tappa raggiunta tra le polemiche
“Un quadro migratorio globale basato su fatti e non miti, che protegge gli interessi nazionali e li promuove attraverso una migliore cooperazione” ha chiarito la rappresentante speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali, Louise Arbour. Toni misurati che la dicono lunga sulla necessità di far decantare le polemiche a due anni da un processo negoziale che ha causato scompaginamenti politici e crisi di governo.

Eppure, al netto di un risultato che rappresenta una tappa fondamentale per la gestione globale dei flussi migratori, proprio la cooperazione multilaterale ne esce malconcia. A due anni dalla Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti, quel consesso resta l’ultimo in materia di immigrazione in cui sia stata registrata l’unanimità. Dei 193 Paesi che due anni fa avevano avviato unitariamente il percorso del compact, più di 30 hanno infatti scelto la via sovranista alla gestione delle migrazioni internazionali.

Numerosi i Paesi contrari alla firma
Tra le defezioni di Marrakech  pesano particolarmente quelle di 8 membri dell’Unione europea (Lettonia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Bulgaria e Italia), che hanno scelto di non partecipare al vertice contestandone l’ingerenza sulle rispettive sovranità nazionali e accodandosi, di fatto, al primo no di peso giunto a dicembre del 2017, quando il presidente Donald Trump aveva annunciato che gli Stati Uniti avrebbero disertato i negoziati prima ancora che fosse presentata la bozza iniziale.

Sette mesi dopo è stata l’Australia a girare le spalle. “Non firmeremo alcun documento che non è nel nostro interesse nazionale e non è nell’interesse nazionale affidare alle Nazioni Unite le nostre politiche di difesa delle frontiere”, ha spiegato il premier Peter Dutton, contestando la versione finale del Global Compact. Da allora, rivendicazioni analoghe sono dilagate anche nell’Unione europea egemonizzando anche i posizionamenti di Paesi che originariamente avevano partecipato ai lavori multilaterali e che alla spicciolata hanno rifiutato di parlare con una sola voce.

L’Europa centro-orientale unita contro il Global Compact
“Secondo la posizione del governo, il Global Compact delle Nazioni Unite per la migrazione è in conflitto con il buon senso e anche con l’intento di ripristinare la sicurezza europea” ha argomentato il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó. Toni analoghi a quelli giunti dall’Austria – Paese che nel 2017 ha ospitato il 3.47% dei richiedenti asilo registrati complessivamente nell’Unione – dove Heinz Christian Strache, leader del partito di destra Fpoe, partner della coalizione di governo, ha dichiarato che “l’Austria deve rimanere sovrana in materia di migrazione” e che il Paese sta “svolgendo un ruolo di guida in Europa”.

Valutazione incontrovertibile, visto che dopo Vienna sono seguite le defezioni di Polonia, Repubblica Ceca, SlovacchiaBulgaria. Paese, quest’ultimo, che ha accolto l’1.8% dei flussi migratori in Europa censiti dall’Iom e che ad oggi resta l’unico della regione balcanica ad avere seguito la trazione centro-orientale.

La defezione italiana dell’ultimo minuto
Tra le cancellerie che hanno scelto di disertare Marrakech in calcio d’angolo, spicca da ultima, e a sorpresa, l’Italia, che aveva partecipato a tutte le fasi del negoziato e che, a dieci giorni dalla plenaria finale, ha deciso di sospendere la decisione rinviando al voto del Parlamento l’opportunità di siglare o meno il Global Compact.

Nell’attesa che venga ufficializzata la calendarizzazione di un dibattito parlamentare che si annuncia complesso anche in seno alla maggioranza, il dato di rilievo, ad oggi, sta nello spostamento del baricentro geopolitico dell’Italia sulla questione immigrazione. È infatti sempre più distante dai Paesi fondatori dell’Unione, con i quali a fasi – e insuccessi – alterni si è tentato di gestire la crisi della governance migratoria degli ultimi tre anni, e più vicino a un gruppo esiguo di Paesi storicamente riluttanti al principio di solidarietà tradizionalmente invocato dall’Italia in materia di immigrazione.

I prossimi Consigli dell’Unione, presieduti a partire da questo gennaio dalla Romania, ci diranno se e come la fronda europea degli anti-compact terrà. Ad oggi, la sua tenuta sembra piuttosto esposta alle tensioni alimentate dalla applicazione pratica del principio di volontarietà sdoganato dal Consiglio europeo del 28 giugno dopo lunghe negoziazioni con il quartetto di Visegrád, le cui conclusioni hanno ribadito a più riprese la volontarietà, e non l’obbligo, della suddivisione dei richiedenti asilo e dei rifugiati che giungono in Europa.